giovedì 31 gennaio 2019


Il tempo stringe

 31/1/2019
Ottimismo. Se si guardasse con occhi ingenui a quello che sta avvenendo nella nostra società, si potrebbe essere ottimisti. Il nostro sguardo verrebbe colpito da manifestazioni di “popolo” contro l’espressione più grossolana e piena di inganni del governo; intere categorie sociali si organizzano e manifestano la loro opposizioni contro provvedimenti del governo; i licenziamenti non avvengono più nel silenzio… comprensivo; le donne, sia nella versione femminista che in quella generica di donna, si rifiutano, manifestando questo rifiuto ai ruoli subalterni assegnati; gli studenti danno segni manifesti di non sopportare più il degrado delle loro scuole e l’impoverimento dell’insegnamento; docenti e ricercatori denunziano, in vario modo e con vari strumenti, lo stato immiserito della ricerca nel nostro paese; le prese di posizioni contro tutte le manifestazioni e versioni contro la scienza e i suoi risultati sono quotidiani e molti scienziati escono dal loro buco (non più torre dorato); la politica immigratoria, diciamo così, del governo è contestata  a partire dalla cattedra del  Papa, fino ai sindaci, che dovrebbero applicarla, alle associazioni non governative; singoli cittadini o in gruppo danno vita ad interessanti iniziative di solidarietà sia verso gli immigrati che verso i poveri; il discorso alla “pancia della gente”, funziona meno quando la pancia resta vuota; per non parlare di tutte le iniziative genericamente riferite all’ambiente; ecc.
Insomma ai nostri occhi ingenui sembra di vedere un paese, fatto di uomini e donne, giovani e vecchi, che hanno voglia di prendere in mano il loro futuro, dandogli una direzione diversa da quella attuale. Questo può rendere ottimisti.
Pessimismo. Se si ascoltassero suoni e parole che riempiono la scena di ogni città e di ogni famiglia si dovrebbe essere pessimisti. La violenza del linguaggio di tipo fascista è in forte crescita, l’esempio viene dal governo; la violenza fisica è anche essa in aumento essa si esercita su gli “altri”, per colore della pelle, per scelte sessuali, per professione, le urla dei malmenati o uccisi riempiono le nostre orecchi;  gli insulti razzisti, negli stadi, superano, di gran lunga, l’incitamento ai giocatori della propria squadra, questo non solo viene tollerato ma anche declassato a “tipica manifestazione” o a “ragazzata”; della violenza si è persa la dimensione sostanziale, bruciare un barbone è un gioco, picchiare o anche ammazzare un tifoso dell’altra squadra sembra l’ovvia conclusione di una manifestazione sportiva gioiosa; la “mia” donna è mia in senso proprio, ne posso fare quello che voglio, in particolare su di lei posso esercitare la mia violenza fino ad ucciderla (per amore!); il linguaggio ci riporta ad un pensiero assoluto e senza compromessi, ma soprattutto senza mediazioni: tirare dritto,  menefrego, prima gli italiani poi gli altri, i sacri confini, ecc.; il fondamento di ogni discorso del governo e la menzogna; non esiste più il dibattito politico ma solo la sopraffazione vocale (tenendo a freno con difficoltà  i muscoli); la discussione in Parlamento sui provvedimenti legislativi una farsa; l’esaltazione del Duce e il “saluto romano”, sempre più ricorrente; esponenti politici, di primo piano, come ministri, fraternizzano con pregiudicati e criminali; sempre più l’abito è sostituito da una divisa (magari presa in prestito); ecc.
Sintomi, simboli, atteggiamenti prelevati, senza nessuna riflessione, dal passato e offerti come la soluzione dell’oggi.
Ma il rapporto tra ottimismo e pessimismo non è una partita a ping pong, ma piuttosto un atteggiamento che colloca ciascuno di noi: può farci chiudere in uno sdegnoso solipsismo. Io credo, per quello che vale, che si può (non si deve) essere ottimisti. L’esperienza di questo governo è in esaurimento, i due protagonisti non reggono il confronto. Mi si può rinfacciare che si tratta di una alleanza di potere, è vero, ma un’alleanza di potere funziona quando tutti si sottopongono alla volontà di “uno”, se questa adesione manca l’alleanza diventa conflittuale e alla lunga non regge, si tratta di verità storica.
In questo essere ottimisti ci sono punti problematici. Preoccupa una certa tendenza al rifiuto dei “corpi intermedi”; un farneticare di democrazia diretta, senza dire cosa si intenda (non certo la piattaforma Rousseau) a tutti i livelli. Bisogna chiarire che i corpi intermedi sono fondamentali per coagulare pensieri e idee vicine, per unificare progetti, per rendere generalizzabili situazioni avanzate. Il loro  rifiuto, che è molto manifesto e diffuso,  è un vero problema politico che rischia di vanificare gli elementi positivi del mondo sociale che si muove in direzione democratica e progressista. Che questo rifiuto oggi possa essere  nobilitato e, in un certo senso, razionalizzato nel rifiuto delle élite da parte del popolo, mi sembra un cappello che copre poco e non spiega molto.
Il secondo punto è fare finta di niente. È certo che c’è un debito di democrazia nel nostro e in tutti i paesi, ma a questo debito si dà una risposta riconsiderando i presupposti della democrazia e adeguando le strutture di espressione popolare. Non vi è dubbio che accanto alle forme rinnovate della democrazia delegata devono svilupparsi forme di democrazia diretta, evitando tra i due non solo una scelta di campo ma anche un conflitto permanente. Inoltre la “gestione” delle istituzioni e dei servizi deve, secondo forme da studiare, coinvolgere anche direttamente la popolazione. Sicuramente ci vuole un rinnovamento dei partiti ma non attraverso forme di pseudo populismo, come l’elezione del segretario da parte di “chi vuole”, così come si appresta a fare il PD che non è un suo rafforzamento ma un suo indebolimento che ne snatura la volontà espressiva. Ma per essere forza intermedia un partito deve vivere tra la gente, nelle forme vecchie e nuove che suggerisce la situazione, luogo di costruzione di un progetto di società. Di questo si parla poco.
E che dire della generale idiosincrasia ad affrontare le “radici” strutturali del disaggio della nostra società. Di questo nessun vuol parlare, possiamo essere contro questo o quel progetto, quel o contro quel provvedimento ma dobbiamo mettere a nudo la matrice profondo di tutto questo. Non basta dire: il capitale. Quale, come, oggi questo mostro si presenta. Che si tratti di un mostro non si può negare: non l’1%, ma 26 individui contro il resto del mondo. Non possiamo cullarci con la complessità, mi pare che sia tempo di affrontare il nodo.  C’è materia, c’è materiale, c’è sapere, c’è scienza per un progetto anticapitalista.
        

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