Diario n. 284
6 aprile 2015
Maurizio Landini,
Tito Boeri, Graziano Delrio, Massimo D’Alema
Maurizio Landini
Avevo già scritto che Landini mi sembrava l’unica
speranza per la ricostruzione della sinistra; pensavo che avesse carisma,
intelligenza e volontà. Lo penso ancora, ma da alcuni giorni mi domando quali
dovrebbero essere i punti forti di un programma in modo da mobilitare gli
arrabbiati, i timidi e i distratti. Devo confessare che mentre le parole sono
facili la loro declinazione mi pare difficile (impossibile?).
So per certo che un concetto di sinistra sia l’eguaglianza, non parlo ovviamente di un
livello unico di situazione economica/sociale, ma almeno la definizione di un
ventaglio di posizioni che permetta alla situazione meno ricca una vita piena e
soddisfacente, e che la posizione più ricca non possa che essere un multiplo
ragionevole della meno ricca (diciamo cinque/otto volte?). Mi sembrerebbe
questa una proposta molto attrattiva, per una fascia ampia, molto ampia, della
popolazione.
So per certo che un concetto di sinistra sia un’equa distribuzione dell’occupazione, che
non vuol dire solo la piena occupazione, ma anche una distribuzione dei periodi
di lavoro e di non lavoro (retribuiti) diversi da quelli imposti dall’attuale
sistema. Che so, per esempio (ma si possono trovare nuovi modi): lavorare da 20
a 30 anni, non lavorare da 30 a 40, lavorare da 40 a 50, non lavorare da 50 a
60, lavorare ancora, secondo i tipi di lavoro, da 60 a 70, ed essere impegnato
successivamente in attività di servizio civile. Credo che un’ampia fascia della
popolazione sarebbe d’accordo.
So per certo che un concetto di sinistra sia un’istruzione generale ampia e laica per
tutti, il che vorrebbe dire una scuola pubblica gratuita per tutti
obbligatoria fino alla scuola superiore e facoltativa per l’università. Sta in
quest’ambito la scuola per l’infanzia adeguata al numero dei bambini. Forse
anche questa potrebbe essere una proposizione di successo.
So per certo che è un concetto di sinistra l’eguaglianza dei diritti di cittadinanza,
che cioè tutte le persone che abitano in una paese godano degli stessi diritti.
Questo forse è un concetto di minor successo dei precedenti.
È ancora di sinistra la libertà, declinata in religiosa,
culturale, dell’informazione, ecc. Non credo si manifestino a questo proposito
opposizioni.
Potrei continuare con la salute, l’ambiente, le città, la
liberta sulla nascita e la morte, la libertà sessuale, la pace, la sicurezza,
la moneta, ecc. ecc.
Insomma una serie di concetti di buon senso che
facilmente potrebbero diventare di senso comune. Ma allora?
Il problema mi pare si ponga non appena da queste
proposizioni di senso comune si passa alle trasformazioni che l’affermarsi di
questi concetti di senso comune presupporrebbero. Per esempio la gestione
tecnica e manageriale delle imprese e non più capitalistica; la riduzione della
proprietà privata; un sistema fiscale fortemente progressivo (ed efficiente);
l’eliminazione dell’economia finanziaria; l’eliminazione di ogni forma di
eridarietà (che non fosse di natura affettiva); la riduzione dei consumi
opulenti; ecc. ecc.
Ammesso che esistessero le forze per affermare tutto ciò,
questo è possibile in un paese solo?
Tutto questo è possibile senza una forte organizzazione politica?
L’impresa di Landini, ammessa a che avesse questi
connotati, appare disperata, ma non si può restare inermi e apatici. In questa polarità
si gioca la tragedia e la speranza della politica ai nostri giorni. La “battaglia culturale” (come si diceva un
tempo) appare fondamentale per dare corpo a questo possibile senso comune, e un
ruolo fondamentale lo gioca lo svelare la verità, mettere in chiaro gli inganni
del nostro tempo, le mistificazioni ideologiche, le false promesse e gli
stereotipi consolatori. Il legame internazionale appare una necessità.
Il capitalismo marcisce, nonostante le grandi
affermazione di soluzione della crisi, e rischiamo di marcire con lui.
La guerra è sempre più una costante, morte, violenza,
distruzione, e noi insieme.
Non si può stare immobili, non si può pensare di essere
fuori. Non si può essere inattivi e apatici.
Titto Boeri
Il professore Titto Boeri è apparso come un economista di
sinistra o almeno progressista. Ma da quando è asceso alla presidenza dell’INPS
ha perso, almeno così mi pare, il suo smalto.
Appellarsi alla sostenibilità del sistema pensionistico
mi pare faccia dimenticare che di uomini e donne si tratta. Tirare fuori,
sempre nell’ambito della sostenibilità del sistema, la questione delle pensioni
contributive e salariali, non è un tratto di innovazione.
È certo che il sistema pensionistico presenta
discrepanze, ma il punto di vista non dico progressista ma soltanto umanitario
dovrebbe prendere le mosse dalla necessità di assicurare una pensione dignitosa
(a prescindere dal criterio di contribuzione) a tutti, in grado di permettere
una conduzione di una vita normale, e la definizione di un ventaglio all’interno
del sistema, tra questa pensione dignitosa minima e le pensioni superiori
(diciamo 5 volte al massimo?). Questa impostazione comporterebbe alcuni tagli
ad alcune pensioni stravagantemente alte e la richiesta al tesoro delle risorse
necessari per garantire un nuovo sistema pensionistico.
Certo ci sono i diritti acquisiti, ma siamo certi che su
questi non si possa intervenire in punta di diritto?
Da un presidente come Boeri non ci si aspetta una
razionalizzazione sostenibile del sistema, ma un sistema pensionistico che
garantisce la sostenibilità ai pensionati. Mi sarei immaginato una sua presa di
posizione su quello che appare sempre più un imbroglio come il sistema della
pensione integrativa.
Graziano Derio
Il nuovo ministro delle infrastrutture risulta essere
stato uno scienziato prestato all’amministrazione (Sindaco); un amministratore
prestato alla politica ed ora un politico prestato al governo. Che si tratti di
un uomo onesto non si dubita, la qual cosa al ministero delle infrastrutture è
cosa di grande rilievo. Ma quello che preoccupa e la sua capacità. A fianco di Renzi, come si dice, è stato l’uomo macchina,
può darsi che in questo sia molto abile (non esistono parametri di giudizio a
tale proposito), ma a lui si accredita la riforma delle provincie. Un pasticcio
da cui non si sa come uscirne. Così come l’ennesima decisione a favore della
formazione delle città metropolitane, che da vent’anni sono sempre le stesse.
In vent’anni il mondo è cambiato tranne le città metropolitane italiane.
Ora questi provvedimenti attribuiti al nuovo ministro
delle infrastrutture non depongono bene. Pare che a Derio manchi la capacità di
analizzare gli effetti delle sue decisioni. Che per un ministro non è poca
cosa.
Massimo D’Alema
Da sempre giudico Massimo D’Alema un politico di vaglio,
anche se non condivido nessuna delle sue scelte e delle sue strategie, ma è
sicuramente intelligente e capace.
Quello che ha sempre disturbato della sua personalità non
è tanto la sua antipatia, che considero un tratto simpatico della sua
personalità, quanto l’esibizione dell’ascesa sociale, sempre fastidiosa ma
fastidiosissima in un politico. Su questo le sue défaillance dello spirito, ma
forse anche dell’intelligenza, sono molte. Vale la pena di ricordare la
querelle, di tanti anni fa, se non
sbaglio con un proprietario di un cane che gli aveva “rovinate le scarpe pagate
un milione di lire”. Perché un uomo politico deve “produrre del vino” (se non fosse
una tradizione di famiglia e non il cedimento ad una moda) che vende alle
cooperative? Perché scoppiato lo scandalo politica, non giudiziario, deve farsi
bello in modo arrogante che dopo lo scandalo sono aumentate le richieste del
suo vino? Perché un uomo politico di prestigio deve piegarsi al fatto che una
cooperativa compri 400 copie del suo ultimo libro? (le case editrici hanno dei
settori commerciali preposti alla diffusione dei libri).
Insomma sarà intelligente, sarà perspicace, sarà autorevole
ma soffre di una debolezza sociale pericolosa.
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