Diario 278
Tsipras in Grecia,
Podemos in Spagna. E noi? Maurizio Landini
La grande vittoria di Tsipras in Gregia, intanto dice una
cosa chiara: arrivato ad un certo punto il popolo dice “basta!”. Ma dice un’altra
cosa altrettanto chiara ci vuole qualcuno, un partito, un movimento, un leader
pronto ad ascoltare e a guidare. Questo è avvenuto in Grecia questo sembra stia
accadendo in Spagna.
Si tratta di movimenti “comunisti”? non so è troppo
presto per dirlo e poi il “comunismo” ha bisogno di rinnovarsi (il come non è
sempre chiaro), ma sono sicuramente movimenti contro la finanza internazionale,
e non è poco, ma forse sono anche dei movimenti anticapitalisti e progressisti
sul piano sociale e culturale. Si è vero: senza teoria niente rivoluzione, ma
anche senza popolo niente rivoluzione.
Non si può che essere felici di questa vittoria, non si
può che pensare che questa vittoria sia un buon viatico per la Spagna, non si
può non sperare che la politica europea possa essere in mora e non mi riferisco
solo all’austerità, ma all’avvio di una rifondazione dell’Europa.
E noi? Perché in Italia niente che vagamente somigli a
quanto avviene in Spagna e in Grecia si muove? Non stiamo molto meglio di quei
due paesi, i problemi del debito pubblico (cioè il laccio della finanza attorno
al collo) ci accomuna, molto simile la disoccupazione, l’abbraccio della
depressione ci cinge insieme, eppure in Italia niente si muove a quel livello.
I tre scotti che dobbiamo pagare per questa arretratezza sono di tale entità che potrebbero deprimerci:
a) Il
primo di questi scotti riguarda il PCI e la sua trasformazione fino al Partito
democratico, la sua incapacità e mancanza di volontà di essere il catalizzatore
dell’insostenibilità della situazione e quindi della protesta. Il suo vestire
gli abiti del “perbenismo politico”, l’assunzione piena del mercato capitalista
come regolatore della vita economica, il rispetto degli “impegni” presi anche
quando evidentemente si trattava di imposizioni. Infine di essere in parte
compromesso con la cattiva, per usare un eufemismo, gestione della cosa
pubblica.
b) Il
secondo scotto da pagare è alla “nuova” sinistra, a quell’insieme di forze di
sinistra incapaci da vent’anni a darsi una struttura unica, aperta e dinamica.
Contrasti di dottrina, contrasti di politica immediata, contrasti di leadership
hanno reso improduttivo e distruttivo ogni ipotesi aggregativa. Per non parlare
dei grandissimi danni prodotti dalla lotta armata. Ora si ricomincia lungo la
stessa strada facendosi forti del successo in Grecia e di quello possibile in
Spagna, senza capirne la lezione.
c) Il
terzo scotto da pagare, che è una derivazione dei primi due, dobbiamo pagarlo
alla Lega e al Movimento 5*. La lega ha messo le sue radici nella pancia del
nord alimentando una polemica contro Roma prima, contro il Sud dopo, contro gli
immigrati adesso. Mai mettendo in discussione il meccanismo sociale complessivo,
contenti dell’autonomia regionale grande fonte di corruzione. L’avventura
politica imprenditoriale di Casaleggio e Grillo, è stata rapida a cogliere la
protesta, è stata rapida a cogliere l’insostenibilità della situazione ed ha
indirizzato questa e quella contro la “casta” (tutti ladri, tutti corrotti, ecc.).
Si sono inventati dei meccanismi fasulli di democrazia diretta, hanno
costituito uno sfogatoio della protesta nel web.
Si, so, sono analisi sommarie, ma l’intento non era
quello di analisi puntuali, ma quello di richiamare quelli che possono essere
considerati degli ostacoli al manifestarsi di una protesta popolare (tipo
indignatos) e soprattutto di mettere in luce una sorta di incapacità, perché fuori
dal loro orizzonte culturale e ideologico, ad indirizzare la protesta verso
obiettivi di trasformazione.
Ma l’Italia è destinata all’inconsistenza dentro questo
processo europeo (il cui sbocco a sinistra, per altro, non è garantito)? È possibile
pensare di no?
Si è possibile, fermenti di movimento si colgono a più
livelli e in varie occasioni, quanto legittimamente oggi è legato sia alla Lega
(meno) che al M5*(molto di più), che nella sinistra del PD e nella
frammentazione della sinistra può trovare una diversa opportunità di
manifestarsi e finanche di organizzarsi. Si può dire che manca un leader, né un
leader è possibile trovarlo nel panorama della sinistra, ma io credo che questo
leader forse esiste è individuabile in Landini. Il mio è uno sproposito
azzardato, non so, ma sono convinto che quanti esaltano l’obbligo di Landini di
restare dentro il sindacato, non abbiano colto né la gravità della situazione, né
il ruolo di un leader necessario per avviare un vero cambiamento, né abbiano riflettuto a come
il sindacato abbia bisogno di uno fronte
politico che ne condivide l’azione.
Landini ha testa, Landini ha carisma, Landini ha seguito.
Non ha bisogno di alcuna investitura, non ha bisogno di garanti, ha
bisogno di prendere le redini di quel poco che c’è e di farlo crescere su un
programma di progresso e contro la finanza (almeno): il popolo non ne può più.