lunedì 9 dicembre 2013

Reddito di cittadinanza

Diario 237

  • Reddito di cittadinanza 
  • Mandela
  • Il PD di Renzi

 Reddito di cittadinanza

Il reddito di cittadinanza, di sostegno, o con qualsiasi altro nome si suole usare, costituisce una modalità di sostegno pubblico ai cittadini in “sofferenza” (può essere permanente, a tempo, legato ad una situazione di disaggio economico, ad una momentanea o permanente situazione di disoccupazione, ecc.). Può assumere il significato di una solidarietà pubblica o l’affermazione di un diritto; la dimensione di questo sostegno può variare nel tempo; può, o no, richiedere una qualche prestazione da parte di chi lo riceve nei riguardi della collettività; ecc. In sostanza forma, contenuto, dimensione, modalità possono variare nel tempo e nello spazio. 

Sembra una cosa buona e di sinistra. Che sia un provvedimento buono non si fa fatica a crederlo data la situazione sociale del paese; che possa essere fatto proprio dalla sinistra è convincente, ma che sia di sinistra si possono avanzare dei dubbi.

Si tratta di un provvedimento, infatti, che non rimuove le condizioni dalle quali insorgono le situazioni di disaggio che determinano la necessità di un sostegno. Una sinistra, comunque qualificata, deve occuparsi dei sintomi ma anche e soprattutto delle cause. Sono le diseguaglianze che generano questo fabbisogno, ma i provvedimenti di cui si discute non incidono su tali diseguaglianze; la torta della ricchezza prodotta alimenta le capaci fauci di una ristretta parte della popolazione e a chi resta a guardare è concessa una mollica. Per quanto generosa possa essere la collettività tale sostegno non supera il livello di sussistenza in regime astinenza. 

Per altro si introducono livelli di discriminazione ingiustificati: perché il sostegno ad un disoccupato e non ad un giovane che studia?

Più complessa appare la questione del reddito di cittadinanza: questo dovrebbe essere per tutti e per sempre, anche qui problemi di giustizia distributiva complessi: va concesso anche all’amministratore delegato di una fabbrica di automobili, così a caso, che guadagna 2.000 e più volte di un suo dipendente? Un tale provvedimento, inoltre, assume che il sistema economico di produzione possa emarginare una fetta della popolazione che dovrà essere garantita, ma che per non fare sgradevole discriminazione si assegna a tutti.

La sinistra del XXI secolo può non prevedere la proprietà pubblica di tutto o della parte più rilevante del sistema produttivo, ma sicuramente nell’ambito che qui interessa, ha come suo obiettivo primario quello di eliminare (non di ridurre) le diseguaglianze che originano da situazioni di potere, di eliminare ogni accumulazioni di ricchezza trasferibile a figlie o parenti, di garantire lavoro a tutti in una nuova organizzazione della produzione e del lavoro, di promuovere il progresso scientifico e tecnologico per rendere il lavoro non un castigo (… con il sudore della tua fronte) ma un’attività che possa dare soddisfazione.

Se il reddito di sostegno fosse considerato un provvedimento momentaneo e tampone in vista di una grande trasformazione (ormai necessaria come scrivono molti studiosi anche non di scuola marxiana, ma che i nostri politici non leggono) allora sarebbe accettabile e avrebbe una connotazione di sinistra, in caso contrario rischia di essere uno strumento che garantisce il potere e rafforza le catene sociali. 

Detto questo le condizioni di disaggio vanno alleviate, anche con forme di reddito di sostegno, anche perché il disaggio non risulta essere una condizione che alimenta la trasformazione progressista, ma rischia di alimentare i tanti populismi menzogneri e arruffoni.


Mandela

Non c’è ombra di dubbio, Mandela è stato un grande; ha combattuto è sconfitta l’apartheid, una cancrena dell’umanità. Ma contro di lui ha finito per prevalere la forza del sistema. Le discriminazioni di classe in Sudafrica sono violentissime, la popolazione in sofferenza molto ampia. Certo non è colpa sua, ma il risultato merita una riflessione non oleografica.


Il PD di Renzi

Renzi ha vinto e stravinto, qualcuno (io) ha sperato in un risultato meno consistente, fino al ballottaggio, ma non è così. Ma cosa succede? Non mi riferisco al contingente (governo, elezioni, ecc.), ma alla tenuta di medio periodo. 

Il discorso di investitura del nuovo segretario del PD è stato abile e pieno di indicazioni e di impegni. Il “riformismo” come stella polare, ma che cosa “riforma”: il risparmio di un miliardo del costo della politica? Necessario e opportuno; il bicameralismo? Certamente un bene; l’impegno contro le politiche di austerità? Molto bene. Per non parlare di mantenere il bipolarismo, una velleità. Ma tutto questo ci permette di uscire dalla crisi? Credo proprio di no. 

Mi spiace ripetermi, ma non mi pare che nella classe dirigente, politica e no, ci sia piena coscienza della “natura della crisi”. Non si tratta di applicare oggi le ricette del passato, ma questo vale per tutti. A me pare che a Renzi manchi la consapevolezza del livello di trasformazione per i quali sarebbe necessario impegnarsi. Il nostro è un sistema di produzione messo in crisi, profonda crisi, sia dalla finanziarizzazione dell’economia, sia dal galoppante progresso tecnologico e scientifico che rendono assolutamente obsoleto il sistema dei rapporti sociali ereditati. 



Certo c’è un ricambio di dirigenza politica, questo è un bene, ma non credo che basti anche se necessario. Ma è troppo presto per dire come sarà il PD di domani e la politica di Renzi; diffido dei discorsi utilizzati nella campagna elettorale e dei contenuti del discorso di investitura. Non resta che aspettare incrociando le dita e con … poca speranza.

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