domenica 1 settembre 2013

Dal premio Nobel per la pace al premio Attila per la guerra





Barak Obama vi avvia a questa traiettoria: dal premio Nobel per la pace ad un immaginabile premio Attila per la guerra.

In Siria succedono cose terribili, ma non è l’unico posto al mondo. È drammatica la morte a mezzo gas (in quell’area non è la prima volta), ma non è meno drammatica l’uccisione con un machete, con una pallottola o con qualsiasi altro mezzo che la nostra specie ha inventato.

Si può essere presi dallo scrupolo e dall'orrore per cui può sembrare ragionevole intervenire. Ma se l’intervento non ponesse fine al massacro, ma piuttosto, come sembra probabile, innescasse un allargamento del conflitto? Poi chi si attacca l'Iran? quale coinvolgimento di Israele, della Turchia, ecc. ? Un’area che non ha proprio bisogno di questo

Gli Stati Uniti non possono auto dichiararsi i custodi mondiali della “moralità governativa” e della difesa dei “diritti umani”, per una serie di motivi: perché non hanno più il ruolo che si erano conquistati dopo la seconda guerra mondiale, perché l’opinione pubblica internazionale non apprezza questo atteggiamento e spesso mostra un atteggiamento riflessivo verso interventi di forza (vedi Parlamento Inglese) e poi perché non può giocare questo ruolo a suo piacimento, intervenendo dove ritenga gli convenga per difendere corposi interessi.

Gli accordi sul disarmo (diciamo così) nucleare forse salverà l’umanità dalla sua autodistruzione, ma si muore con altri mezzi, che sono prodotti principalmente dai paesi occidentali, dalla Russia oltre che dalla Cina. Un mercato fiorente di miliardi di dollari. Un disarmo generalizzato potrebbe essere la strada giusta, che se poi ci fossero controverse che sfociano in violenza si battano con i …bastoni. Certo che esistono delle regole internazionali sul commercio delle armi, che pongono dei vincoli, ma è altrettanto certo che queste regole non vengono rispettate (anche ufficialmente) da molti paesi (anche dalla Svizzera). 

È evidente che se tutto il mondo è armato e non tutti sono in grado di “produrre” armi, da qualche parte queste vengono; arrivano via mercato nero che anche mercato ufficiale. I paesi occidentali, soprattutto alcuni, hanno più volte armato la mano di quelli chi in quel momento erano considerati “amici” per poi ritrovarseli contro.

Lo Stockholm International Peace Research Institute nel suo ultimo rapporto mette in luce come il mercato sia dominato da imprese americane ed europee. L'elenco delle prime 100 società di produzione di armi è dominato da aziende americane ed europee, che detengono rispettivamente il 60 e il 29 per cento del mercato globale. Tra le prime imprese all’ottavo posto troviamo anche la nostra Finmeccanica. 

I principali cinque paesi che controllano il mercato degli armamenti sono Usa (30%), Russia (24%), Germani (9%), Francia (8%), Inghilterra (4%) (resta oscuro il dato della Cina). Tra le prime 250 imprese che producono armamenti 155 sono in Europa, 64 in America e 31 negli altri continenti.

I maggiori acquirenti sono individuabili in India, Cina, Pakistan, Corea del Sud, Singapore. In Africa negli ultimi dieci anni l’acquisto di armi è cresciuto del 110% ed anche i relativi massacri.

Un quadro che chiarisce non perché si spara e ci si ammazza, ma da dove vengono i mezzi per la macelleria.

Non è possibile che chi arma la mano si meravigli che quella mano armata uccida. Forse bisognerebbe pensarci prima ma… gli interessi in gioco sono enormi e può fare comodo un’azione di “pulizia e polizia” per incrementare le vendite.

(Chi volesse approfondire il tema, potrebbe leggere di D. Facchini, M. Sasso e F. Vignarca, Armi, un affare di Stato - Soldi, interessi, scenari di un business miliardario”, Chiarelettere, 14 euro).



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