giovedì 8 novembre 2012

NUOVA DIMENSIONE DEL SETTORE EDILIZIO



ASUR n. 105 2012

NUOVA DIMENSIONE
DEL SETTORE EDILIZIO
di Francesco Indovina*

1. Repetita iuvant
Il settore edilizio fa parte del più generale meccanismo capitalistico italiano, ma […] ne
fa parte con uno specifico ruolo [e] rappresenta il centro di un intreccio di forze economiche
(e quindi politiche) che hanno permesso di realizzare il tipico meccanismo economico italiano.
Ciò non nel senso che il settore ha condizionato il meccanismo generale, ma nel senso
che il particolare sviluppo del settore era una delle condizioni per realizzare il tipo di sviluppo
complessivo […]. L’ottica dello “spreco edilizio”, infatti, può essere forviante se non si
chiarisce il senso da dare alla formulazione stessa. È possibile interpretare il settore come
caratterizzato da spreco solo se questo sta a significare che i benefici ottenuti risultano non
proporzionali alle risorse impegnate nel settore. Ma sarebbe scorretto parlare di spreco se
con questo si volesse intendere che nelle condizioni del meccanismo economico italiano sarebbe
stato possibile un’utilizzazione diversa e più efficiente delle risorse impegnate nel
settore (Indovina, 1972).
Mi sarà perdonata questa lunga autocitazione, il suo scopo è quello di ribadire
la collocazione del settore edilizio dentro l’economia italiana. Con questo non si
intende dire che nulla è cambiato.
Diverse cose sono cambiate, ma il ruolo del settore, a meno così pare, non è
mutato, anche se mutati sono, in parte, i protagonisti, e gli effetti si presentano, in
un certo senso, più dirompenti.
Non ci si riferisce tanto alla “bolla” del settore, di dimensione diversa nel nostro
Paese rispetto ad altri (in particolare rispetto agli USA e alla Spagna), ma rispetto
agli indirizzi del settore e agli effetti sull’organizzazione del territorio e della
città e sull’organizzazione sociale dello spazio. Si cercherà di argomentare i cambiamenti,
in relazione anche alla finanziarizzazione dell’economia e alla globalizzazione,
ma pare di poter dire che il settore oggi goda di una certa autonomia rispetto
alla società italiana, anche in virtù del fatto che l’apporto di risorse non direttamente
nazionali è molto cresciuto. Ma di questa affermazione si darà giustificazione
più avanti.
2. Qualche dato quantitativo
I recenti dati “provvisori” del Censimento della popolazione e delle abitazioni
(2011), lasciano perplessi circa la loro corrispondenza alla realtà. Inoltre
* Francesco Indovina, Università IUAV di Venezia, Santa Croce 1957, 30135 – Venezia;
email: indovina@iuav.it.
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essendo dati provvisori mancano alcune informazioni fondamentali, come il titolo
di godimento, ma soprattutto non appare credibili la rappresentazione statistica
di specifici fenomei.
Si prenda nota inoltre che la più recente classificazione indica come abitazioni
occupate quelle occupate dai residenti, mentre sono non occupate quelle occupate
da non residenti o effettivamente non occupate. Certo che in questo modo un fenomeno
particolarmente rilevante (le case vuote, seconde case che siano o meno)
sfugge a ogni quantificazione.
Nella tab. 1 sono riportati i dati degli ultimi cinque censimenti (1971-2011), in
modo da permettere un punto di vista di lungo periodo e osservare eventuali mutamenti
nelle tendenze. Dai dati della tabella si rileva:
• che il patrimonio complessivo continua a crescere, ma che la tendenza di
lungo periodo presenta una contrazione del tasso di crescita. Tra i primi due
censimenti, il patrimoni totale è cresciuto di circa il 26%, tasso di crescita
che è diminuito nel tempo tra un censimento e l’altro, fino a circa il 6% nell’ultimo
censimento. Una tendenza di lungo periodo che quindi sembra trovare
conferma anche nella rilevazione dell’ultimo censimento;
• qualche spiegazione andrà cercata relativamente alle abitazioni non occupate
(si ricorda il contenuto di tale classificazione), non solo la tendenza
alla contrazione del loro tasso di crescita è rispettato, ma si può osservare
che nel censimento più recente si ha una diminuzione in valore assoluto. La
ricerca di spiegazioni relativamente a tale andamento deve tener conto dell’incertezza
sulla validità dei dati. Proprio nel settore delle “case vuote” i
censimenti hanno sempre presentato il fianco a incertezze. Dopo
l’incremento altissimo degli anni Settanta (+106%, pari a circa 2.200.000
abitazioni) il tasso di crescita di questa parte del patrimonio si è contratto
(+20% negli anni Ottanta; il 6,5% negli anni Novanta), fino a essere negativo
nell’ultimo decennio (-11% circa). Due spiegazioni potrebbero essere
date a questo fenomeno (il condizionale è obbligatorio), che corrispondono
ad alcune informazioni derivanti anche dalla cronaca: con l’acuirsi delle
difficoltà economiche delle famiglie, le “seconde case” potrebbero essere
state trasformate in “prima casa”, per esempio dei genitori pensionati che in
questo modo lasciavano la loro prima casa ai figli (o viceversa). Il fenomeno
non dovrebbe essere molto vistoso, infatti la seconda casa, per localizzazione,
attrezzature e servizi dovrebbe risultare poco adeguata allo scopo. Il
secondo fenomeno riguarda le modalità di evasione dell’Ici (l’Imu non esisteva
al tempo del censimento ultimo) con una finta residenza. Anche questo
fenomeno non deve essere molto vistoso. C’è tuttavia un altro fenomeno,
in controtendenza, che alimenta il nostro sospetto circa la veridicità del
dato. Appare crescente la pluri-domicilizzazione per ragioni di studio o di
lavoro, un fenomeno questo che, data la definizione adottata di “case vuote”,
avrebbe dovuto incrementare questa fascia (case occupate da non residenti
classificate insieme alle vuote) e non portare a una loro diminuzione
in valore assoluto.
92 Tab. 1
Abitazioni non occupate e
occupate ai diversi censimenti –
Italia (
dettaglio ripartizioni geografiche); dati 2011 provvisori
Ripartizioni Valori assoluti Numeri indici
geografiche 1971 1981 1991 2001 2011 1981/1971 1991/1981 2001/1991 2011/2001
Non occupate
Nord-Occidentale 609.656 1.110.441 1.235.855 1.266.667 1.201.873 182,1 111,3 102,5 94,9
Nord-Orientale 344.248 732.068 818.630 885.859 1.016.855 212,7 111,8 108,2 114,8
Centrale 451.608 825.952 944.712 950.761 691.033 182,9 114,4 100,6 72,7
Meridionale 464.127 1.029.079 1.405.319 1.544.692 1.240.064 221,7 136,6 109,9 80,3
Insulare 262.906 697.931 888.093 990.726 844.449 265,5 127,2 111,6 85,2
Italia 2.132.545 4.395.471 5.292.609 5.638.705 4.994.274 206,1 120,4 106,5 88,6
Occupate
Nord-Occidentale 4.764.040 5.318.966 5.697.509 6.182.936 6.805.010 111,6 107,1 108,5 110,1
Nord-Orientale 2.833.035 3.310.972 3.728.314 4.194.709 4.764.605 116,9 112,6 112,5 113,6
Centrale 2.862.769 3.341.257 3.830.516 4.192.229 4.750.573 116,7 114,6 109,4 113,3
Meridionale 3.230.679 3.701.005 4.324.177 4.722.722 5.159.077 114,6 116,8 109,2 109,2
Insulare 1.610.904 1.869.534 2.155.397 2.360.692 2.601.183 116,1 115,3 109,5 110,2
Italia 15.301.427 17.541.734 19.735.913 21.653.288 24.080.448 114,6 112,5 109,7 111,2
Totale
Nord-Occidentale 5.373.696 6.429.407 6.933.364 7.449.603 8.006.883 119,6 107,8 107,4 107,5
Nord-Orientale 3.177.283 4.043.040 4.546.944 5.080.568 5.781.460 127,2 112,5 111,7 113,8
Centrale 3.314.377 4.167.209 4.775.228 5.142.990 5.441.606 125,7 114,6 107,7 105,8
Meridionale 3.694.806 4.730.084 5.729.496 6.267.414 6.399.141 128,0 121,1 109,4 102,1
Insulare 1.873.810 2.567.465 3.043.490 3.351.418 3.445.632 137,0 118,5 110,1 102,8
Italia 17.433.972 21.937.205 25.028.522 27.291.993 29.074.722 125,8 114,1 109,0 106,5
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Da un precedente lavoro (Indovina, 2005) si è recuperata, aggiornandola con i
dati dell’ultimo censimento, la tab. 2, dove si mette in evidenza la destinazione
(occupate e non occupate) delle abitazione che in ogni decennio incrementano lo
stock di abitazioni. La tabella, ovviamente, è costruita sui saldi quindi non mette in
evidenza i passaggi interni tra le due destinazioni.
In modo evidente si coglie una contrazione di lungo periodo dell’incremento
dello stock di abitazioni (dai 4.500.000 degli anni Settanta si passa ad appena
1.783.000 dell’ultimo periodo). Del resto lo stock complessivo di abitazioni per circa
25 milioni di famiglie, pare più che sufficiente. Negli anni Settanta, il 50% della crescita
totale dello stock ha alimentato lo sviluppo del segmento “non occupato”
(+2.260.000). Sembra positivo che la parte del patrimonio che alimenta il settore del
non occupato (sebbene in crescita totale almeno fino al 1991, vedi tab. 1) sia in flessione,
in valore assoluto come in percentuale. Cresce anche il settore dell’occupato dei
non residenti, fenomeno dovuto all’immigrazione e a quella che in precedenza è stata
chiamata pluri-domicilizzazione (dato ancora non noto per l’ultimo censimento).
Tab. 2 – Destinazione dell’incremento dello stock di abitazioni tra i censimenti
Periodo Totale Destinazione
Occup. da residenti 2.022.000
Occup. da non residenti 218.000
1981-1971 4.500.000
Non occup. 2.260.000
Occup. da residenti 1.861.000
Occup. da non residenti 333.000
1991-1981 3.092.000
Non occup. 898.000
Occup. da residenti 1.362.000
Occup. da non residenti 555.000
2001-1991 2.263.000
Non occup. 346.000
2011-2001 1.783.000 Occup. da residenti 2.427.000
Occup. da non residenti o non occupate –644.000
Quello che impressiona in questa tabella è la parte riferita all’ultimo censimento
che mette in evidenza, per quello che i numeri dicono (falsificano?), un passaggio
dal patrimonio non occupato dai residenti o vuoto alla parte del patrimonio
occupato dai residenti. Per quanto detto in precedenza questa rappresentazione pare,
forse, poco corrispondete alla realtà, soprattutto se si tiene conto (vedi tab. 1)
che il fenomeno riguarda in misura più rilevante che nelle altre zone, l’Italia centrale,
meridionale e isole, zone privilegiate per le “casa per vacanze”.
Quello che, tuttavia, appare rilevante è che il disagio abitativo non è diminuito
ma, al contrario è crescente1, certo la crisi aggrava la situazione, ma come i dati
1 La documentazione sul disagio abitativo è molto ampia, per molti riferimenti si rinvia
a Indovina (2005); mentre aggiornamenti sugli anni più recenti si possono trovare in Fondazione
Anci (2010), nonché nei rapporti della Caritas.
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dimostrano la situazione era grave anche in una fase di pre-crisi (Indovina, 2005).
Sintetizzando si può dire che l’avere affidato la soluzione della “questione abitativa”
al mercato e, contemporaneamente, avere contratto ogni intervento di edilizia
economica e popolare, non solo non ha risolto il problema di chi al mercato non
può accedere, ma ha creato le premesse per un aggravamento della situazione. Un
notevole contributo in questa direzione l’ha dato anche la crisi economica attuale,
sia in relazione a quanti fidandosi della propria condizione economica avevano
contratto dei mutui che oggi non riescono a rispettare, sia di quanti sono stati
espulsi, dal segmento della casa in affitto, per morosità2, determinata da un peggioramento
della propria condizione economica. La questione del disagio abitativo
trova una sua trattazione in questa raccolta, alla quale si rinvia, mentre sembra utile
affrontare il problema del ruolo del settore edilizio nelle condizioni odierne.
3. Un diverso ciclo con nuovi soggetti
È noto che al settore edilizio viene attribuito un importante ruolo anticiclico per
le relazioni che esso intrattiene con tutti gli altri settori produttivi. Una verità, questa,
che anche se ha assunto la forma del luogo comune – “quando il settore edilizio va,
tutta l’economia va bene” – è solo in parte vero: dalle tavole di interdipendenza questa
verità esce solo parzialmente verificata (Indovina, 1972). Ma il luogo comune ne
sotto intende un altro: una sorta di scissione tra il ciclo economico generale e quello
del settore. In realtà è vero che il settore contribuisce a sostenere il ciclo economico
generale ma a questo è strettamente connesso. Per scinderlo da quello sono necessarie
sostanziali ignizione di risorse pubbliche (edilizia economica e popolare, come il
Piano Fanfani, o opere pubbliche), altrimenti resta legato al ciclo economico (sicuramente
con un proprio ruolo). Così, nel secondo dopoguerra, i grandi movimenti
migratori e il boom economico avevano alimentato il ciclo edilizio urbano, che trovava
nella “domanda improcrastinabile” il suo motore (Indovina, 1975), e questo ha
sostenuto e rafforzato il ciclo economico generale. Negli anni più avanti è stata la
domanda per il miglioramento abitativo, e quella della seconde case (Barp, 1977),
che ha alimentato il secondo ciclo edilizio. Insomma ogni ciclo edilizio è caratterizzato
da una “forma” specifica che ne determina le condizioni e le strategie, da specifici
soggetti “operatori” e dalle caratteristiche della domanda.
In generale si è trattato di un settore “nazionale”, non solo nel senso che imprese,
promotori e lavoro sono stati prevalentemente nazionali (per il lavoro questa
affermazione oggi è sempre meno vera, essendo prevalente nel settore la manodopera
immigrata e spesso irregolare), ma anche che le risorse finanziarie necessarie
alla sua alimentazione sono state anch’esse nazionali (in parte degli stessi consumatori
finali, in parte dei promotori)3. Che questo abbia dato origine alla formazio-
2 Gli sfratti per morosità, nel 2010, sono stati l’86% del totale, in crescita rispetto al
2009 (84%). Censis (2011).
3 Esiste un contrasto interpretativo, che non merita essere ripreso, tra chi (Indovi95
ne di quello che è stato definito “blocco edilizio”, è noto; l’esistenza di tale “blocco”
(all’interno del quale il sistema bancario ha avuto un ruolo rilevante) è all’origine
delle rilevanti “storture” (ma funzionali) del settore (dalla corruzione, allo
spazio dato alle organizzazioni criminali, al mancato rispetto dei piani e delle norme
ecc.) fino alla crisi attuale.
Quelle che, pudicamente, sono state indicate come “storture”, in realtà, costituiscono
delle profonde ferite nel meccanismo economico e sociale del Paese,
che nel tempo si sono trasformate in pericoli di cancrene. Ci si riferisce all’infiltrazione
nel settore edilizio, soprattutto (inizialmente) in alcune regioni
del Sud del Paese, della criminalità organizzata, che ha visto in esso non solo il
primo gradino economico che avrebbe favorito il dilagare in tutta l’economia,
ma anche un vestito decente per risorse di origine ancora più criminali, lungo la
strada di un’ascesa sociale ancora in via di sviluppo. È la mafia che abbandonando
il proprio terreno d’origine, la campagna e il contrabbando, penetra profondamente
nel settore edilizio delle maggiori e minori città siciliane e meridionali.
Una presenza che non solo si caratterizza per i suoi tratti di violenza, ma
anche per capacità di corruzione e per lungimirante intreccio con la “politica”
(di governo). È da qui che la corruzione diventa costume e travalica il Sud e il
settore invadendo tutto il Paese, compresi i santuari della moralità. È da qui che
l’intreccio tra politica ed economia, non necessariamente mafioso ma sicuramente
svincolato da regole di trasparenza e di legittimità, finisce per degradare
molte funzione di governo.
In altri Paesi il meccanismo edilizio, ancorché in parte netto dalle peggiori
storture prima indicate, ha alimentato la crescita di una “bolla” edilizia, non priva
di implicazioni illecite, che si è autoalimentatasi per poi deflagrare, con conseguenze
per tutta l’economia mondiale. Che la situazione italiana non sia paragonabile,
in questo settore, a quella degli Usa o della Spagna non sta a significare una
“regolarità” di funzionamento del settore nel nostro Paese. Sempre, forse si può
affermare, il settore edilizio nel suo insieme è all’origine di situazioni dalle implicazione
negative, per il ciclo economico complessivo, per i meccanismi di illiceità
che promuove, per la degradazione delle città ecc.
Oggi (negli ultimi anni e non solo per effetto della crisi) la situazione si è in
parte modificata. Gli elementi di questa modifica possono indicarsi nei seguenti
fenomeni:
• una domanda per prima casa in fortissima contrazione. Nonostante una rilevante
flessione dei prezzi non si materializzano compratori. Le transazioni tra
il 2006 e il 2010 sono diminuite del 27%, dato che con modeste differenze (le
variazione estreme si collocano tra il 19% e il 32%) si ripete in tutte le regioni
(Censis, 2011). Le famiglie che non godono la casa in proprietà sono intorno al
20%, e si tratta di famiglie con poche disponibilità; né la gran parte è nelle
na) ha sostenuto che il settore abbia drenato risorse sottraendole ad altre utilizzazioni
produttive, e chi (Secchi) ha sostenuto che il settore costituiva una sorta di
“raccoglitore” di risorse che spostava verso altri settori produttivi. Oggi pare che la
questione si ponga in modo differente.
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condizioni, soggettive e oggettive, di contrarre un mutuo (per altro molto difficile
da ottenere)4;
• la domanda di acquisto di abitazioni per investimento (da dare in affitto) è
sempre una quota modesta dell’intero mercato e in contrazione perché ne è
sempre più incerto lo sbocco5. Relativamente attivo è il segmento di acquisto
per investimento in settori specializzati: abitazione da affittare a studenti e lavoratori
fuori sede; a turisti ecc. Si tratta, tuttavia non tanto di un investimento
per la rendita, ma piuttosto dell’inizio di una vera e propria attività economica,
alla quale non molti sono disposti;
• l’acquisto come “bene rifugio”, a parte l’indeterminatezza della definizione,
non è favorito dall’andamento economico generale e dalla prospettiva di una
tassazione crescente. Il mattone ha rappresentato, tuttavia, fino agli anni Ottanta,
l’investimento verso il quale si sono indirizzati i risparmi delle famiglie
meridionali (pochi o tanti che fossero) per assenza di alternative. I figli crescono,
il mattone difende dall’inflazione, garantisce il risparmio, è facile da
realizzarsi nel bisogno, e altri spicci di filosofia economica.
Se questi fenomeni indicano una tendenza alla stagnazione del settore (cosa
che si vede anche negli indici della produzione delle costruzioni6), è possibile rilevare
che altri fenomeni si presentano come “stimoli”, anche se la loro natura mette
in luce delle problematicità complesse e, comunque, il loro peso non è tale da invertire
la tendenza generale, anche se appare rilevante in determinate filiere e zone.
Sono da considerare gli effetti che sul settore, in una Paese come l’Italia, può
determinare la ricerca della finanza internazionale di occasioni di investimenti
(speculativi). In questo senso il settore sembra sempre più svincolato dalle dinamiche
nazionali e collegato, per vie traverse e complesse, alla finanza internazionale.
Si sottolinea alla “finanza internazionale” non al ciclo economico internazionale,
infatti quella risulta indipendente e autonoma dal ciclo dell’economia reale internazionale,
oltre che nazionale7.
C’è un cambiamento significativo nel capitalismo della nostro era: la finanza
risulta, a livello mondiale, otto volte più grande del prodotto dell’economia reale.
4 Dall’indagine dell’Istat (2010), sulla vita quotidiana, si rileva che le famiglie che godono
la casa in proprietà presentano un aumento molto modesto: erano il 71,3% nel 2001e
raggiungono il 72,1% nel 2011. Nel complesso il 56% delle famiglie rilevano che le spese
per l’abitazione risultano per loro troppo alte.
5 Se si guardasse al patrimonio in proprietà a persone fisiche, solo l’8% è dato in affitto
(Censis, 2011, su dati Agenzia del Territorio).
6 Si prendano i numeri indice degli ultimi tre anni: 2009 indice 97,6; 2010, 93,5; 2011,
90,8 (Istat). “In cinque anni (2008-2012) il livello degli investimenti in nuove abitazioni si è
ridotto notevolmente, registrando una caduta del – 38,9% in termini reali” (Censis, 2011).
7 È l’incomprensione di questo fenomeno che determina l’assoluta inettitudine della
politiche economiche nazionali e dell’UE, le quali non fanno altro che “garantire” la finanza
internazionale e la relativa speculazione, che se è interessata a che non si manifestino fenomeni
come quello greco, per la necessità di “tosare” i popoli per garantire il rendimento dei
propri investimenti, resta assolutamente indifferente agli effetti sociali che determina.
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La struttura capitalista, ancorché costituisca un blocco (vedi, per esempio, la famiglia
Agnelli che si muove nella produzione e nella finanza), si muove da una parte
nel processo tradizionale capitalistico (D-M-D), fondato sullo sfruttamento della
manodopera (e della natura), al quale si affianca un processo (D-D-D) che tosa i
popoli (e gli ingenui) speculando, sulle materie prime, sulle borse, sui redditi sovrani
ecc. La ricchezza di carta comanda su quella reale, le sue disponibilità sono
tali da determinare, insieme, le “occasioni” e le loro “realizzazioni”. È di qualche
rilievo cogliere quale sia l’effetto di questa nuova dimensione del capitale sul settore
che qui interessa.
Intanto va colto un dato strutturale/sociale: questa nuova dimensione del capitalismo
determina una redistribuzione della ricchezza quali mai si era avuta (a
livello nazionale e internazionale). Si è formata una classe di “ricchi” di una dimensione
mai avuta nel passato. Alle ricchezze accumulate sulla base dello
sfruttamento di materie prime (petrolio soprattutto) si sommano le ricchezze determinate
dallo sfruttamento delle nuove tecnologie, ma soprattutto le ricchezze
accumulate per via finanziaria. Non si vorrebbero fare rischiosi discorsi antropologici,
ma sicuramente le ricchezze accumulate via “rendita” (materie prime o
finanza che sia), tendono a definire una soggettività diversa dalle ricchezze accumulate
via produzione materiale. Il rapporto con il “lavoro”, in questo ultimo
caso, costituiste un segno in qualche modo influente. Non si vuole determinare
nessuna meccanica sociale e psicologica, ma va segnalato che le “domande” di
questi ricchi “renditieri”, si collocano, in un modo che pare sostanziale, nella dimensione
del lusso.
La classe dei super ricchi ormai ha una dimensione notevole: si parla di 11
milioni di individui, una cifra che sembra sicuramente sottovalutata, e non di poco,
data la difficoltà di un’informazione corretta della situazione in Cina e in altri Paesi
dall’incerta trasparenza. Si tratta di una massa dedita a consumi di lusso; non è casuale
che dentro la crisi l’unico settore che non ne è stato investito, ma anzi ha presentato
dati in espansione, sia proprio quello del lusso8.
Nel settore edilizio c’è una domanda specifica, che in modo sintetico possiamo
identificare indirizzarsi verso “abitazioni storiche”, verso seconde, terze e quarte
case, sempre di lusso, sia a livello urbano che in posti privilegiati del loisir; a questo
scopo si costruiscono, come dire, luoghi specifici (come Dubai) o specifici palazzi
o grattacieli (Londra, ma non solo). C’è una richiesta di posti isolati, come
piccole isole (Budelli, in Sardegna, è in vendita a 4,5 milioni di euro).
Nello stesso tempo, in connessione con questa specifica domanda, sono disponibili
investitori internazionali: i ricchi stessi, ma soprattutto fondi, assicurazioni
ecc. Il settore edilizio del nostro Paese, almeno in parte, sarà investito da
questo nuovo ciclo, diverso per operatori e diverso per domanda: questo non sta
a significare che le tradizionali domande e operazioni immobiliari scompariranno,
ma esse avranno sempre meno peso. Un settore a parte, ma su questo si tor-
8 “Il 2012 sarà un anno record per i consumi mondiali di beni di lusso, come moda e
accessori, auto, gioielli, profumi, cosmetici”. Armando Branchini, segretario dell’associazione
“altagamma” (L’Espresso, 28 giugno).
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nerà più avanti, è quello che il Governo sembra voler attivare attraverso la vendita
del patrimonio pubblico.
In sostanza, è molto probabile che il settore si organizzerà in modo dualistico:
da una parte un settore tradizionale, modesto per dimensione ma diffuso nel territorio,
con qualche lieve innovazione richiesta dalle nuove necessità di risparmio
(energetico, ambientale, economico, di suolo ecc.), e dall’altra un settore all’avanguardia,
più ampio ma spazialmente concentrato, dominato da architetti star,
che si dedicherà a soddisfare questa nuova domanda. Quest’ultimo in Italia tenderà
ad aggredire soprattutto alcune regioni, quelle classiche della “bella Italia”, e alcune
città, anche queste le classiche “città d’arte”9.
Questa dinamica appena accennata non avrà niente a che fare con la “questione
abitativa” degli italiani. Fallita la soluzione di mercato, ragione vorrebbe si
tornasse alle forme di edilizia economica e popolare, magari rivisitate, ma non
sembra che a questo si pensi. La politica dei passati e del presente governo ha
guardato sempre e comunque al “mercato”. Fa eccezione la legge sull’equo canone,
frutto di lotte ed elaborazioni avanzate, ma questo fu abolito per tornare al mercato
che avrebbe dovuto produrre insieme il rilancio del settore e la cancellazione
della questione abitativa risolta dal meccanismo equilibratore ed equo del mercato.
Non c’è bisogno di ricordare come sia finita. Il piano caso del precedente governo,
che doveva muovere investimenti di grandissima dimensione (e così promuovere lo
sviluppo), era indirizzato a facilitare il miglioramento della domanda già soddisfatta:
concedeva la possibilità di ampliare l’abitazione posseduta. Anche qui
montagne che producono topolini. Non solo, quindi, non si aveva attenzione per
chi la casa non l’aveva, ma presupponeva una richiesta di miglioramento abitativo
che non c’è stata e che comunque è stata falciata dalla sopravvenuta crisi.
Il dinamismo e la crescita delle città sono legate all’attività edilizia, che è
funzionale a tale crescita e dinamismo, ma quando il settore edilizio risulta avulso
da ogni valutazione di fabbisogno o, se si preferisce, della domanda dei cittadini
insediati, è la città che resta vittima di una trasformazione che non le appartiene,
e che riguarda soltanto un possibile meccanismo speculativo (Harvey,
2012). Quello che si prospetta è quindi, non già la costruzione di una migliore
9 Questo settore si caratterizza come un settore avanzato, il lusso accompagnato alle
nuove tecnologie, il che determina qualche nuova preoccupazione. La nuova frontiera dell’architettura
sembra il “grattacielo”, ovviamente costruito con materiali nuovi, tecnologie di
risparmio, con un ciclo chiuso dell’acqua, la trasformazione dei rifiuti ecc. Una soluzione
contro le degradate periferie, si dice. Tre osservazioni: spesso investimenti in questa direzione
si sono evoluti, per così dire, verso il fallimento del promotore, c’è forse un problema
di sostenibilità economica; senza voler passare per passatista, l’altezza, sempre maggiore,
determina, non sempre ma spesso, cortocircuiti estetici paesaggistici, la “misura” non può
essere solo costituita dalle potenziali tecnologiche e dei materiali, ma anche dal contesto; a
chi pensa che il grattacielo possa essere l’antidoto alle periferie consiglio la lettura di Ballard
(1994), certo un romanzo, ma gli scrittori spesso hanno l’occhio lungo. Quello dei
grattacieli, o meglio della mania dei grattacieli rischia di essere un ennesimo pericolo per le
nostre città: i “nuovi” investitori non guardano al piccolo condominio, la loro dimensione è
per forza “grande”.
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città, alle nuove condizioni, ma piuttosto un deterioramento della condizione urbana,
che avrà come sua cifra costitutiva quella dell’esclusione. Ma senza “condizione
urbana” non c’è civiltà.
4. Il “patrimonio” pubblico soluzione della crisi
La crisi, come è noto, continua a mordere, ma il governo invece di prendere il
toro per le corna si balocca con l’idea che dando “fiducia” al mercato questo alla
fine regolerà le questioni secondo le “fondamentali”. Non ci si rende conto che all’attività
finanziaria, quelle che si definiscono le “fondamentali” non interessano e
non hanno rilievo alcuno. La soluzione individuata è una diminuzione del debito
sia attraverso una tosatura del popolo (mai una patrimoniale) e nella vendita del
patrimonio immobiliare posseduto a livello centrale e periferico. Anche i comuni,
infatti, sono spinti (obbligati) a vendere il loro patrimonio. I calcoli che si fanno su
quanto si potrà recuperare da queste vendite è, da una parte, cervellotico e, dall’altra
parte, è sperabile che i desideri non si avverino onde evitare il disastro per le
nostre città; queste ultime, infatti, finirebbero per essere sottoposte, più che nel
passato, a regole speculative. Bisogna osservare, per essere realistici, che il patrimonio
a cui si fa riferimento non è costituito più da abitazioni – in gran parte già
vendute e per le altre mancano i compratori – ma piuttosto da edifici terziari, aree,
caserme ecc. Per questo patrimonio potrebbero non mancare, con cautela, acquirenti
(stranieri e anche italiani) i quali essendo i venditori obbligati a vendere sono
in grado di dettare le proprie condizioni.
Intanto i prezzi; il mercato indica una forte contrazione dei prezzi delle compravendite,
a tale andamento dovrebbero adeguarsi i venditori (Stato ed Enti locali),
del resto molti dei venditori non credono alla possibilità di forzare il “mercato”,
ed essendo il venditore “costretto” a disfarsi di tale patrimonio, il compratore ha
potere di imporre la sua legge. Prezzi anche inferiori agli andamenti del mercato, e
quindi non è escluso che i ricavi non siano quelli sperati e che questo patrimonio
più che venduto sia svenduto (del resto le esperienze passate sono da annoverarsi
tutte come più o meno fallimentari). Ma non basta, il compratore pretende di fare
un “affare”, e forte del suo potere di mercato, delle “garanzie” che è in grado di
mettere in campo (compresi padrini politici, eccezionali architetti e, se necessario,
qualche piccola o grande corruzione) si aspetta di essere svincolato da norme di
piano (certo a beneficio della città), pretende una modifica di destinazione d’uso,
consona ai propri interessi, un rilevante aumento volumetrico (in alcuni casi la demolizione
e la ricostruzione), nessun vincolo di forma, altezza ecc. Insomma il
compratore richiederà tutte le varianti opportune per realizzare l’“affare”. Già questo
sta avvenendo in molte città, con un crescente conflitto che vede, spesso, insieme
il comune con il promotore (compratore) e contro i cittadini con talvolta la
sopraintendenza ai monumenti.
Insomma si tratta di una manomissione delle regole del governo della città a
cui in passato il Paese è stato sottoposto ma che si pensava non si dovessero più
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presentare. A fronte i vantaggi per le singole città saranno minime, con disagi
crescenti. Gli Enti locali e anche lo Stato non disporranno più di un patrimonio
che avrebbe potuto essere utilizzato per il miglioramento della città, per accrescere
la dotazione di servizi, per incrementare il patrimonio di edilizia economia
e popolare e il verde, per implementare attività culturali e sociali ecc. In compenso
avrà degli edifici per lo più commerciali, o altrimenti destinati a una clientela
estranea alla città.
Non sembra questa la strada virtuosa che le amministrazioni locali dovrebbero
seguire; le città e i territori d’Italia hanno sicuramente bisogno di innovazione, di
miglioramenti, di gestione condivisa: il semplice punto di vista del bilancio (accrescere
le entrate), sembra destinato al fallimento e, nella misura in cui avesse successo,
causerà il deterioramento delle città: splendenti in qualche parte e abbandonate
nella loro maggior parte.
Qualche nota conclusiva
Le note precedenti non sopportano delle grandi conclusioni, quanto piuttosto
la messa a punto di alcune nodi che la fase attuale del ciclo edilizio suggerisce. A
questo schema ci si attiene, consapevoli dell’incertezza del momento e della possibilità
di una frana che porti il Paese a una situazione drammatica senza preparazione.
Una frana, entro certi limiti, evitabile; per far questo va abbandonata ogni idea
liberista, il Paese deve insorgere contro gli speculatori (i più vecchi si ricorderanno
quando questi si chiamavano “gli gnomi di Zurigo”, bei tempi), far valere i suoi
“fondamenti” contro il potere dell’economia di carta.
Nella situazione data il settore edilizio continuerà a subire contrazioni, mentre
il disagio abitativo continuerà a crescere e ad allargarsi verso segmenti sociali oggi
risparmiati. Nello stesso tempo si affermerebbero operazioni edilizie (speculative)
di varia e complessa dimensione, destinate a soddisfare, nelle diverse modalità, sia
la domanda dei ricchi crescenti che le fantasie degli speculatori internazionali.
Anch’essi presi in una sorta di solipsismo dissennato, convinti, in un certo senso,
che il mondo a loro si adeguerà senza rendersi conto che stanno creando le condizione
per una catastrofe sociale di cui pare impossibile solo pensare la dimensione.
Certo i tempi sono lunghi, le parti del Paese investito da queste operazioni potenzialmente
distruttive saranno diverse, ma è certo che il settore, senza ostacoli,
ma anzi facilitandone le tendenze, in questa direzione si muove.
Se, al contrario, in una sorta di nuova epifania riformista, si assumesse che il
settore edilizio dovesse soddisfare il fabbisogno di abitazioni reale, dovesse occuparsi
dell’organizzazione e della salvaguardia del territorio, del recupero delle abitazioni
degradate e della sicurezza degli edifici e dovesse finalizzare l’utilizzazione
del patrimonio pubblico a fini collettivi, allora sarebbe necessario il lancio di una
“piano” articolato in segmenti diversi. Da quello dell’edilizia economica e popolare,
per dare risposta positiva al fabbisogno di chi non può stare nel mercato, immigrati
inclusi, a quello per la salvaguardia del territorio, a quello ancora del riuso del
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patrimonio esistente degradato e non utilizzato, alla possibilità di costituire uno
stock specifico di abitazioni, con tipologia adeguata, per il fabbisogno dei fuori sede
per studio o lavoro, per gli anziani autosufficienti (totalmente o parzialmente).
Insomma se si guardasse ai bisogni delle popolazione si potrebbe mettere in cantiere
una serie di iniziative, che potrebbero non escludere i privati alla ricerca di sicure
e non speculative remunerazioni, relazionando il settore edilizio alla nostra società
e con questo far svolgere al settore anche quel ruolo di motore dell’occupazione
e dello sviluppo al quale spessi ci si appella. Il mercato capitalistico
ha dato e continua a dare pessimo esito di sé (non vale la pena citare dati), è tempo
almeno di correggerlo.
Accanto a queste operazioni attive, andrà predisposta una struttura normativa
di difesa della città e del territorio da azioni speculative, soprattutto in quelle zone
che queste potrebbero privilegiare.
Riferimenti bibliografici
Ballard J. G. (1994). Il condominio. Milano: Anabasi (ora anche Feltrinelli).
Barp A., a cura di (1977). Il secondo ciclo edilizio. Milano: FrancoAngeli.
Censis (2011). Rapporto sulla situazione sociale del Paese. Milano: FrancoAngeli.
Fondazione Anci (2010). I Comuni e la questione abitativa. Testo disponibile al
sito: www.anci.it/Contenuti/Allegati/Questione%20abitativa.pdf.
Harvey D. (2012). Il capitalismo contro il diritto alla città. Verona: Ombre Corte.
Indovina F. (1975). La domanda improcrastinabile. Economia Pubblica, 2-3.
Indovina F. (2005). Appunti sulla questione abitativa oggi. Archivio di Studi Urbani
e Regionali, 82.
Indovina F., a cura di (1972). Lo spreco edilizio. Venezia: Marsilio.
Istat (2010). Aspetti della vita quotidiana. Roma.

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