Diario
6 settembre 2020
La mia amica e compagna Luciana Castellina ha pubblicato ieri un lungo articolo, su Il Manifesto, per perorare la linea del NO al referendum sulla diminuzione dei parlamentari. Vorrei esprimere il mio dissenso, su questa linea, che anche la posizione del Il Manifesto.
Le motivazioni che Luciano espone, per almeno ¾ del suo
testo, hanno a che fare con la crisi
della politica, cito alcune delle parole chiave di questa parte: “inventarsi
nuovi partiti”, “riaffermare nella pratica l’importanza della politica” “abbandonando
a se stessa la società sempre più ripiegata sull’io”, colpa anche della
fiacchezza della sinistra-sinistra”, ecc. So che non si tratta di una buona
operazione quella che sto facendo spiluccando da un testo impegnato e per
questa parte convincente e condivisibile. Mi pare che le questioni generali che
la Castellina mette in campo non possono non essere condivise, ma queste hanno,
a mio parere, poco a che fare con la questione del referendum.
Le critiche che Luciana
svolge nei riguardi del Si possono così sintetizzarsi: la riduzione dei
parlamentari non risolve la crisi di democrazia di cui, non solo in Italia, si
soffre, (e per questo vale l’accordo sulla seconda parte dell’articolo); “diritto
universale al voto, libertà di opinione e Parlamento sono beni essenziali, ma
di per sé non bastano” hanno senso se accompagnate da una “consapevole e
generalizzata partecipazione dei cittadini”. D’accordo, ma cosa c’entra questo
con il numero dei parlamentari? Ridurre i parlamentari basta? certo che no, ci
vuole altro per affrontare le questioni poste dalla stessa Castellina. Ma, io
credo, una consapevole partecipazione
deve partire dalle conseguenze di un gesto, di un voto, di una decisione
politica.
La domanda è: quali sono le conseguenze di una
vittoria del NO o del SI? Non mi
sento alimentato di spirito governativo, ma reputo che nella mia decisione deve
entrare una modesta riflessione sulle conseguenze, anche perché non ritengo tutti
i governi uguali (tanto per metterla in chiaro anche banalmente, un governo con dentro Salvini, assunto come simbolo, è diverso da una governo nel quale Salvini rappresenta
l’opposizione).
Ci dobbiamo convincere
che lo scontro tra destra e sinistra (o anche centro-sinistra) non è una
questione solo di “programmi” ma piuttosto di diversa organizzazione e
concezione sociale, che investe la produzione dei beni, la distribuzione delle risorse,
la cultura, la salute, la convivenza, ecc. A questo siamo, dovremmo averlo capito.
Non dovremmo aiutare, anche indirettamente, la destra a scardinare i precari
equilibri del momento, dovremmo, io penso, migliorare questi equilibri. Non possiamo
accomodarci sul rifiuto alla “costrizione” del voto, ma dobbiamo riflettere
sugli effetti immediati e di lungo periodo.
Il referendum, le elezioni regionali, e quelle amministrative, a prescindere da quello che dice il presidente Conte (che apprezzo in modo molto moderato), nei loro esiti avranno conseguenze sul governo, e sugli assetti istituzionali. Un risultato negativo sarebbe un terremoto per il governo, e, al di là della mitologia di Mario Draghi, sarebbero probabili nuove elezioni anche con la contrarietà di Mattarella. In questo caso c’è qualcuno disposto a scommettere contro la vittoria della destra (comunque organizzata e articolata)?
Un risultato positivo al
referendum e, in qualche modo, non pessimo alle amministrative, creerebbe le
condizioni favorevoli per procedere alle riforme legate alla diminuzione dei parlamentari
(legge elettorale, regolamenti parlamentari, divisione dei compiti tra Camera e
Senato, ecc.). Siamo sicuri che i partiti al governo faranno questo e lo
faranno bene, no, non c’è certezza, ma a questo punto diventano fondamentale le
iniziative che la Castellina propone nella seconda parte del suo articolo e che
dovrebbero riguardare tutte le sinistre.
Le battaglie si
devono combattere avendo una prospettiva,
consapevoli delle possibilità e delle difficoltà. La vittoria del SI, questa
prospettiva la esprime, io questo penso; al contrario un successo del NO creerebbe
le condizioni, proprio per le
riflessioni della seconda parte dell’articolo di Luciana, non tanto per andare
avanti ma piuttosto per regredire. Questo non si può volere.
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