domenica 23 giugno 2019

Il futuro delle nostre città. 2


Diario
21/6/2019



Non si può sostenere che nel nostro paese tutti gli insediamenti di donne e uomini sono tra di loro equivalenti. La dimensione, prima di tutto, differenzia le grandi città dalle piccole e da quelle ancora più piccole. Una differenza che ha a che fare con la possibilità o meno di godere della condizione urbana. Ma anche la dislocazione non è priva di effetti: le città del nord del paese e quelle del sud, a parità di dimensione, si presentano fortemente differenziate, per esempio, per la dotazione dei servizi collettivi, più abbondanti al nord rispetto al sud. Gli insediamenti in montagna, prevalentemente di piccola dimensione, sono a parità di dimensione, meno dotati di quelli che si collocavano in pianura e hanno maggiori difficoltà a raggiungere i servizi altrove localizzati. In sostanza non basta “stare in città” (qualsiasi cosa volesse dire “stare” e “città”) per essere nelle stesse condizioni del vissuto urbano di qualsiasi altra situazione dello stare in città. 
La differenza tra il nord e il sud del paese, quest’ultima caratterizzata dalla “questione meridionale”, ha anche conseguenza sui singoli insediamenti. Il movimento di emigrazione che caratterizza le zone del sud del paese aggrava le differenze.
Tutte questioni note e documentate. Pur tuttavia all’interno di queste differenze si poteva cogliere una certa situazione di relativa omogeneità tra le grandi città (diciamo le città con una popolazione che si avvicinava al milione di abitanti). Certo ogni città godeva (o pagava) le proprie caratteristiche specifiche (Palermo ha caratteristiche proprie rispetto, per esempio, a Firenze); ma al netto delle conseguenze che derivavano dalle specifiche caratteristiche della singola città, le loro attrezzature, la dotazione di servizi, ecc., (almeno in quantità) le facevano apparire come appartenenti ad una stessa classe di città. A mano a mano che si scendeva nella dimensione delle città le diversità si accentuavano.   
Ma oggi si possono cogliere due fenomeni che aumentano il tasso di differenziazione. Il primo di questi è la tendenza degli investimenti immobiliari,  per uffici e per abitazione di alta qualità, a concentrarsi soprattutto a Milano. Da questo punto di vista il dato diffusivo dell’edilizia si è molto ridotto: il capitale immobiliare si comporta come le mosche tutte attorno ad un goccia di miele. Che Milano possa rappresentare un’occasione per “buoni investimenti” costituisce una tradizione, ma oggi si coglie un densificarsi di questi investimenti in nuovi edifici, grattacieli o similari, che sembra rispondere alle esigenze della fase attuale di sviluppo di alcuni segmenti del capitalismo all'interno di una crisi generale.  Lo spazio che si è costruito e si sta costruendo risponde a domande del capitale internazionale soprattutto del settore finanziario, in tutte le sue articolazioni, o collegato alle imprese dell’innovazioni e gestione delle comunicazione. Per quanto sia a mia conoscenza manca un’analisi di dettaglio dei segmenti che preferiscono la scelta milanese, tuttavia il riscontro edilizio, per sua natura, è vistosamente evidente. È probabile che Milano offra situazioni più vantaggiose rispetto alle altre metropoli europei (Parigi e Londra, soprattutto), sia per una inferiore valorizzazione della rendita ma anche perché, probabilmente,  si intravedono occasioni ghiotte legate ad “eventi” di diversa portata e natura (sportivi, culturali, espositivi, della moda ecc.). Si noti per esempio che Milano resta una piazza fortemente caratterizzata dalla “moda”, anche se molti dei marchi della moda italiani sono passati in mani straniere.
Quello che importa, tuttavia, in questa breve  nota, è l’accentuarsi delle differenze tra le grandi città italiane. Detto in modo molto semplificato Milano non ha concorrenti, e la differenza di qualità e di densità di investimenti, che è stata tipica dal secondo dopo guerra in poi, tra Milano e le altre grandi città, si sta fortemente accentuando, con la conseguenza ovvia che anche il flusso, per quanto ridotto, degli investimenti pubblici subirà l’influenza e sarà condizionato dal pressante dinamismo milanese. Questa situazione, che meriterà di essere analizzato in dettaglio, fa riferimento ad una concentrazione non solo di investimenti privati, ma, trainati da questi anche di investimenti in servizi, attrezzature, manutenzione, ecc.  pubblici. In sostanza la distanza tra Milano e Roma o con Napoli, ecc. diventeranno in futuro molto più vistose che nel presente.
Il secondo elemento che sembra accentuare le differenze, come dire strutturali, tra i vari tipi di insediamento, è il turismo.  Non si può negare che il turismo sia una buona occasione economica per il paese, ma non bisogna dimenticare che il turismo, contrariamente al “suo” aspetto e all’immagine che se ne ha,  è un’industria pesante, per gli effetti che genera. Non c’è città, cittadina o paese che non intravede nel possibile sviluppo del turismo un meccanismo di riscatto economico. Ma non è facile conquistare i flussi turistici, sempre più etero-diretti. Non bastano risorse naturali, paesaggistiche e culturali (tutti i luoghi italiani ne sono dotati in abbondanza) i turisti vogliono, innanzi tutto, essere accolti, cioè alloggiati, questa necessità rischia, nei casi di successo, di essere penalizzante nei riguardi degli abitanti. Le grandi città attrattive, da Barcellona a Parigida Vienna a Berlino, scontano una andamento dei fitti delle abitazioni, che espellono la popolazione residente, e la loro trasformazione in case di ospitalità (sotto diverse forme) per turisti. I provvedimenti che le amministrazioni di questa città hanno o si apprestano a prendere non è certo che realizzeranno l’obiettivo prefissato.
Non solo il turismo in larga misura è stagionale  determinando in tal modo un’economia ciclica con effetti spesso devastanti sugli abitanti. Nei periodi di punta tutti i prezzi subiscono degli incrementi ingiustificati che colpiscono la popolazione residente, mentre nelle fasi di bassa i luoghi caratterizzati da forte presenza turistica soffrono per l’assenza  dei servizi privati. L’economia, infatti, si adatta alla domanda turistica, di dimensione molto superiore a quella locale, e quando quella langue meglio chiudere (la stagione è finita).  
Si potrebbe sostenere che esistono molti piccoli centri che hanno subito un forte esodo della popolazione e che quindi dispongono di uno stock di abitazioni non utilizzate che potrebbero essere trasformate in residenze turistiche (dall’albergo diffuso, ad altri accorgimenti dello stesso tipo). Il dato di speranza, tuttavia, si scontra con gli investimenti necessari per tale riconversione, risorse che localmente sono carenti, mentre gli operatori immobiliari preferiscono puntare alla creazione di insediamenti nuovi a ridosso della risorsa naturale turisticamente attraente, sia essa il mare o la montagna,  sorgono così villaggi di nuovo insediamento che, per esempio, hanno manomessa parte della costa sarda. 
Detto questo si può ragionevolmente pensare che a parte le città d’arte, o le zone già turisticamente note, (sia di mare che di montagna), un certo numero di comuni potrà essere capace di attrarre turisti, questo fatto sarà un ulteriore motivo di differenziazione tra i vari comuni e luoghi. 
Mi pare di poter affermare che appare necessario nel prossimo futuro un’analisi aggiornata delle differenziazione delle condizioni di insediamento della popolazione del nostro paese, che tenga conto delle nuove evenienze e vada oltre la tradizionale divisione delle città e dei comuni a secondo della distribuzione tra nord e sud, tra montagna e pianura, ecc. Appare necessaria una nuova mappatura del territorio italiano per mettere in evidenza le nuove differenziazione e le nuove diseguaglianze. L’autonomia regionale di cui si continua a parlare, e che è elemento del contrasto interno al governo, rischia di essere un ulteriore fattore di tale diversificazione.





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