Diario n. 347
16 luglio 2017
Alcuni anni fa mi aveva impressionato lo stupro che due
ragazzi, facenti parte di un’associazione di volontariato (che si occupava di
malati o forse di anziani), avevano esercitato su una loro collega (amica?)
facente parte della stessa associazione. A quel tempo un pensiero ingenuo mi aveva colto: come mai dei
ragazzi dediti all’aiuto di altri fossero stati presi dall’impeto violento di
non rispettare una donna loro compagna? Il cinismo violento del maschio sembra
che non trovi ostacoli né ideologici né di pratica di vita.
Questo episodio mi è tornato alla mente leggendo del più
grave fatto avvenuto a Parma.
In quella città la notte del 12 settembre 2010 si
festeggiava la ricorrenza di una vittoria antifascista (1922) che aveva
contrastato l’intenzione degli squadristi di Italo Balbo di espugnare un
quartiere rosso della città. Ebbene in quella ricorrenza e festa antifascista, nei
locali della RAF (rete antifascista) tre
compagni (?) stuprano per una intera notte una compagna lasciandola su un
tavolo del circolo. I tempi sono cambiati i tre si divertono anche a filmare la
scena. La ragazza per pudore non dice nulla, i compagni del circolo coprono con
l’omertà pelosa gli autori della violenza.
Anni dopo un’indagine della polizia, per altri fatti,
scopre in un vecchio telefonino il filmato (i tre sono arrestati e ora
condannati). Si potrebbe dire una normale storia di violenza contro le donne. Ma
non è così, c’è dell’altro.
I compagni della RAF emarginano la ragazza perché alla
fine collabora con gli “sbirri” (alla violenza si aggiunge il linguaggio mafioso).
Avrei capito, ma non condiviso, se il gruppo RAF, immagine di una società
futura, forte di una propria ideologia di libertà e di antagonismo allo stato,
avesse processato i tre, magari condannandoli all’evirazione chirurgica o chimica, o li
avesse, almeno, espulsi dal “collettivo”.
Niente di tutto questo solo la difesa omertosa dei membri maschi.
Se neanche l’antifascismo militante riesce a liberarci
della cinica e ignobile violenza fascista quale speranza? non ci sono scuse né politiche,
né psicologiche, ma solo bassa connivenza.
Un altro pensiero ingenuo: il piccolo gruppo non solo
politico ma anche costruito su una identità sociale o culturale o ideale, come
adesso è la “moda” politica, è il luogo più adatto per liberarci individualmente e collettivamente? io penso di no, solo l’apertura
ampia, il nuotare nei contrasti e scontri collettivi può essere la nostra
scuola di civilizzazione.
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