lunedì 1 maggio 2017

Il discorso di incoronazione di Matteo Renzi nuovo(vecchio) segretario del PD



Diario 344
1 maggio 2017

Si capisce la gioia e la soddisfazione di Renzi per avere raggiunto il 72% dei consensi nel ballottaggio per diventare segretario del PD.  Non fa velo a neo segretario il fatto di non avere avuti contendenti. È felice e basta, lo si capisce.
Ma non ha seguito il consiglio che da più parti gli veniva elargito: compostezza, contegno. Non può, non è nel suo carattere, ha considerato questo risultato un ribaltamento del referendum sulla riforma, che si tratti di dati non comparabili non interessa, non è la realtà quella che conta ma l’immaginazione.
In termini di immaginazione nel suo discorso (di incoronamento) ha esaltato il popolo che lo ha votato, è ha garantito un partito unito, aperto alla discussione, con idee diverse ma unito. Si è dimenticato di dire che dati i risultati per forza il partito sarà unito, tutti gli organi avranno una maggioranza di almeno il 72% di persone all’unisono con il segretario (le fronde renziane tremano, le così dette opposizione sanno che avranno il “diritto di tribuna”, ma niente di più). Il PD sarà unito in quanto renziano in ogni sua piega.
Il governo Gentiloni è stato richiamato all’obbedienza da Orfini, il così detto presidente del PD, che in una sua intervista ha chiarito come da oggi forte sarà il pressing del partito sul governo e come da questo pressing il governo uscirà più … forte.
Renzi nel suo discorso a parlato di tutto, non si riusciva a frenarlo, era come una bottiglia di Coca Cola agitata a lungo e poi stappata, la coca esce a fiumi, non la si può fermare, il risultato della confronto elettorale ha avuto lo stesso effetto sul rinnovato segretario.
Non merita commentare le cose dette e tanto meno le più numerose non dette, su un punto vale la pena fare qualche pulce: a proposito die Jobs Act.
Si vorrebbe consigliare a neo-vecchio segretario di andare a leggere i risultati dell’indagine curata dalla Demos Coop e commentata da Ilvo Diamanti su La Repubblica del 29 aprile.
Le indagini demoscopiche vanno usate con cautela, ma quando i risultati sono di grande dimensione qualche indicazione la danno: il 67% degli italiani intervistati crede di sapere che il lavoro nero negli ultimi 5 anni è aumentato, così come il 75% degli intervistati ritiene che sia aumentato il lavoro precario. Il 71%  ritiene che l’occupazione in Italia non sia ripartita. Il Jobs Act, definito da Renzi una riforma di sinistra, secondo l’opinione degli intervistati non gode di buon giudizio; l’8% ritiene che la legge ha migliorato il mercato del lavoro, il 32% ritiene che l’ha peggiorato, mentre un altro 32% ritiene che sia ancora troppo presto per una valutazione (il rimanente 27% è composto da un 16% che ritiene la situazione non modificata e l’11% non sa o non risponde). Certo si tratta di opinioni, ma il problema è: si tratta di un’opinione sostanzialmente negativa per carenza di comunicazione o piuttosto per esperienza diretta?
Ma c’è un punto che a me pare tragico: l’84% ritiene che i giovani di oggi avranno pensioni con cui sarà difficile vivere. Si tratta di un’osservazione (verità?) che si sente continuamente ripetere, che i commentatori, economisti, sociologi, politici, ecc. ripetono ad ogni piè sospinto; dichiarazioni ammantate da leggerezza che al contrario mi paiono connotate da un cinismo macroscopico. Sta diventando una sorta di legge di natura (sociale) contro la quale niente si può fare (e la politica?). E nessuno fa lo sforzo di immaginare in che tipo di società i nostri figli e nipoti vivranno se questa legge si affermerà.

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