Diario n. 345
Durante
questo mese di maggio ho avuto molte occasioni di discutere in pubblico del
rapporto movimenti e istituzioni (e connessi), lo spunto era sempre il libro di
Oriol Nel.lo Città in movimento (ora
apparso in traduzione italiana presso Edicampo editore, Roma). Le discussioni
pubbliche sono sempre molto stimolanti, interventi diversi suggeriscono
pensieri diversi, punti di ista particolari possono mettere in crisi i tuoi, ma
sono anche insoddisfacenti, non c’è mai abbastanza tempo per approfondire
determinate questione e aspetti. E’ questo il motivo che mi spinge a dedicare
questo diario alla questione.
L’esperienza
spagnola, ovviamente, è stata sempre al centro o come sottofondo alla
discussione. Se essa spinge all’ottimismo, non è priva di problemi. Ma di
questa non vorrei parlare solo ricordare che negli ultimi due anni le maggiore
città spagnole (da Madrid a Barcellona, Valenza, ecc.) sono governate da
sindaci che sono stati impegnati nei movimenti che si sono sviluppati negli
ultimi anni in Spagna (gli Indignati). Movimenti che non sono riusciti a
modificare la natura delle maggioranze di governo sia nazionali che regionali,
ma che hanno conquistato le maggiori città Questo è un problema. Ma lasciando
da parte la Spagna e in particolare la Catalogna dove incombe un possibile
referendum sull'indipendenza, vediamo qualche tematica generale.
Intanto
la definizione di “movimenti sociali urbani” copre tipologie di iniziative
molto diverse, molti di questi originano da una posizione politico-ideologica,
mentre altri costituiscono la reazione allo stato delle cose su singoli
aspetti. Questa non vuole e non deve essere considerata una distinzione di
“valore”: partire dalla realtà o da una visione della società costituiscono da
sempre due modalità di iniziativa (il passaggio dal sé al per sé è una delle
fondamentali dinamiche politiche). Detto questo tuttavia non si può
disconoscere che sul piano politico generale le “motivazioni” espresse o
implicite non sono prive di conseguenze. Un punto di vista politico-ideologico
(politico-ideologico generale non partitico) costituisce una buona premessa per
l’unificazione di questi movimenti. Cioè possono presupporre una dinamica che
porti a porsi la questione del potere (istituzionale e no) all'interno della
società.
Movimenti
contro gli sfratti, per la casa, per una scuola migliore, per il lavoro, per
l’ambiente, ecc.; o movimenti di costruzione diretta di spazi di
socializzazione, attività di costruzione di spazi verdi, di sistemazione di
zone, la costruzione di orti urbani, la nascita delle banche del tempo, la
costruzione di spazi culturali, ecc.; movimenti contro la costruzione di opere
pubbliche, contro processi di gentrification, ecc., sono tutti importanti ma
appartengono a famiglie diverse e talvolta possono essere tra di loro
incoerenti. Ma tuttavia tutti dimostrano una volontà attiva e una sorta di
assunzione di responsabilità.
La
possibilità di “successo” di ciascun di questi diversi movimenti e rivendicazioni
è legata alla loro unificazione (sostanziale ma anche formale) in un grande
movimento generale, senza di questo alcuni vincono, molti perdono, alcuni
sembrano vincere ma in realtà perdono… Ma per questa unificazione sono
indispensabili i “corpi intermedi” che oggi non sono latitanti ma sembrano
scomparsi. Qualcuno mi ha fatto osservare che la pratica del movimento, il
conflitto, la presa nelle proprie mani di obiettivi, la pratica della
democrazia diretta sono comunque importanti e sedimentano consapevolezza e
coscienza politica. Tutto vero, ma è necessario guardare alla nostra esperienza:
negli anni ’70 in Italia (e non solo) vivacissimi erano le esperienze di
conflitto sociale urbano, e quelle che hanno avuto modo di connettersi in
“corpi intermedi” (anche in nuove loro espressioni, penso per esempio all'Unione inquilini), hanno raggiunto degli obiettivi, ma quello che qui
interessa è riflettere come quell'esperienza di ampio raggio ha sedimentato
poco se fosse vero che la stagione politica successiva non potrebbe essere
annoverata tra la più progressista e democratica.
Non
vale nascondersi dietro il dito: i movimenti in Italia non hanno trovato un
interlocutore ed anche le formazioni di sinistra (a quel tempo si dicevano extraparlamentari) sono state capaci di divisione e non di unificazione,
disperdendo esperienze, impegno, e volontà.
Quello
che sta succedendo in Spagna in questi anni è diverso (almeno mi pare): prima,
durante e dopo il movimento degli “indignatos” esistevano e si sviluppavano
movimenti sociali urbani, ma gli indignatos ponevano la necessità di un
cambiamento sociale, sia gli indignatos sia i movimenti sociali (non faccio né
penso ad una contrapposizione) hanno saputo, trovato, costruito… una
espressione politica unitaria, base di successo.
Il
rapporto dei movimenti sociali con le istituzioni non può prescindere da una
presa del governo. Ma i movimenti devono sapere, sanno, che non esistono
governi simbiotici, al massimo governi amici, i governi hanno delle logiche di
equilibrio (anche se riformisti) che non permettono una loro adesione completa
ai movimenti. Ma quest’ultimi devono usare con intelligenza politica l’amicizia
dei governi (e se questa amicizia manca, usare mezzi convincenti per
neutralizzarne l’azione). Il cambiamento
è insieme facile e complesso, dipende dall'unità di obiettivi che si riesce
costruire tra istituzioni e movimenti, dalla capacità del movimento di non
farsi abbindolare e delle istituzioni
nel valorizzare le istanze del movimento.
Insomma
è necessario tanto e buon lavoro.