Diario n. 320
11 settembre 2016
Matteo
Renzi gode di molto consenso nell’opinione pubblica (può essere diminuito, tuttavia
è ancora molto alto); ma in molti si chiedono su che basi si fondi tale
consenso, dati gli scarsi risultati della sua azione e di quella del suo
governo.
Egli
appare come un innovatore, un bastonatore dei vecchi vizi. Per esempio gode
della fama di “rotamatore” della vecchia politica, ma se guardassimo con
attenzione si osserverebbe che gli unici rotamati, con qualche successo, sono
stati Rosi Bindi e Massimo D’Alema, non
Lugi Bersani (perché godeva di un notevole consenso nel partito, al
contrario dei primi due), ma soprattutto non ha rotamato Verdini e i suoi compagni di merenda, tanto
per fare un nome per tutti.
L’opinione
pubblica è convinta che di “Matteo” ci si può fidare, solo perché la nostra
memoria ha cancellato lo scherzo liceale, che insieme al presidente Napolitano,
ha fatto al suo predecessore. Ci siamo scordati lo “stai sereno” comunicato al
presidente del consiglio poche ore prima di defenestrarlo.
Un
politico “nuovo”, fuori dalle manovre della vecchia politica, e ti sforna il
Patto del Nazzareno con Berlusconi (quest’ultimo nella disfida per guadagnare
consenso lo riconosce come “suo” erede).
Un
politico che crede nella necessità di coinvolgere le migliori competenze,
mentre il suo cerchio ristretto di consulenti è composto soprattutto da amici,
di cui è chiara la fedeltà ma non sembra accertato il tasso di competenza.
Un
politico alieno dalle lottizzazioni, con una visione netta della divisione tra i
compiti della politica e la funzione delle altre istituzioni (pubbliche e
private), ma poi ecco interventi sulle nomine bancarie, sulla Rai, ecc.
Un
politico del fare e non del parlare, ma solo perché si dimentica la spericolata
politica dell’annunzio: sull’uscita
dalla crisi, sull’occupazione, su provvedimenti poi inariditi, ecc.
Un
politico che sa quello che vuole e sa quello che deve fare. Immagini
evanescenti, forse sarebbe bene dire che sa quello che vorrebbe ma non sa come
fare. La crisi, la sua fine, la luce infondo al tunnel, l’occupazione che sale,
i consumi che crescono, gli investimenti (anche esteri) che cadano a pioggia, …
niente, solo parole. Per onestà bisogna dire che non è colpa sua, il male
dell’economia non sono capaci di leggerlo (e quindi non possono e non sanno
intervenire), ma è sua la colpa di declamare ottimismo, come spirito del tempo,
di spingere all’auto-iniziativa come soluzione, mentre il debito pubblico
cresceva, così come cresceva l’indebitamento privato, le famiglie (i nonni)
come unico baluardo alla crisi, la disoccupazione prendeva un brodino con i
soldi distribuiti ai padroni, la banche cavalcavano onde minacciose, ecc.
Ottimismo di maniera, cura sicura, come quando l’allora presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi negava la crisi con la faceta osservazione che i
“ristoranti erano pieni”.
Però
uomo coerente: ah! ah! Proviamo a vedere: l’Italicus (legge elettorale) non si
tocca; forse si può ritoccare; forse è necessario migliorarla; be rivediamola
(con o senza la sentenza della Corte Costituzionale. Si può cambiare opinione,
ma per un politico è fondamentale spiegare le ragioni del cambiamento. Ci sono
motivi di fondo? Oppure è pura opportunità. Dico questo perché se uno non
spiega il perché del cambiamento gli altri non capiscono e non si fidano.
La
Riforma Costituzionale è fondamentale per il “paese” io (Renzi) ci metto la
faccia. Se non passa abbandono la politica, mi dimetto, … fino a garantire
elezioni nel 2018, cioè anche se non passasse avremmo un governo Renzi fino a
quella data.
Insomma
queste brevissime note, che potrebbero essere molto più lunghe e puntuali,
dicono che non ci sono motivi oggettive
e reali perché Renzi goda del
consenso dell’opinione pubblica (non sto dicendo che il Governo ha fatto tutto
male, per realizzare questo obiettivo ci vorrebbe una determinazione fuori
dall’usuale).
Ma
perché questo consenso senza ragione? Certo Renzi è bravo, ha una buona
comunicativa, è uomo di spettacolo, ma questo non basta, il successo dipende
dalla pochezza (di idee e di forze) dei suoi antagonisti. Gli unici che
sembravano potergli tenere testa erano i 5* il cui futuro è incerto (non credo
nel loro disfacimento, che tuttavia sarebbe un bene perché toglierebbe un tappo
alla protesta che potrebbe essere indirizzata verso una proposta alternativa
non populista).
È
in questa debolezza che sta la forza di Renzi. Una debolezza che non è solo
organizzativa, ma anche di analisi e di proposta. Tra il populismo dei 5*, il
politichese di una parte della sinistra, e Matteo Renzi, le speranze per il
paese sono molto poche.
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