martedì 14 giugno 2016

Astensionismo, che bello!


Diario n. 316
14 giugno 2016

Provo grande perplessità sul fatto che l’“evasione” dal voto, l’astensionismo, sia trattata con indifferenza, come un evento al quale non ci può opporre, come il frutto ineliminabile delle trasformazioni della società.
Noto l’esistenza di movimenti, spesso vigorosi per la salvaguardia dell’ambiente, noto che le iniziative per garantire la sopravvivenza di alcune specie in estinzioni sono ricorrenti,  trovo tutto questo giusto e pertinente, la biodiversità va difesa e garantita, quello che mi sconvolge è l’indifferenza per la riduzione della specie uomo/donna che si occupi di politica; dell’impoverimento di questa biodiversità politica (sociale) nessuno si preoccupa (a parte qualche commento rituale)
A sinistra ho trovato delle speciose giustificazioni del fenomeno, anzi della sua esaltazione: il non voto viene correlato con la “nuova” politica. In questa interpretazione si fa notare che all’evasione dal voto corrisponde un impegno di rilievo in altre forme di espressioni “politiche”: i movimenti di difesa della natura, le lotte contro le grandi opere, la difesa del patrimonio culturale, la lotta contro il razzismo, ecc., sono queste ed altre quelle elencate in una sorta di “pagine gialle” delle lotte. Si tratta di constatazioni esatte, ma che non solo non “giustificano” il non voto, ma neanche lo spiegano.
Come si fa a dire che l’astensione dal voto si sposa con l’impegno in queste diverse  iniziative di lotta? Non esiste ricerca alcuna che giustifica questo assunto, nessuna testimonianza conferma l’ipotesi. Può anche essere che tra gli astensionisti la presenza di quanti impegnati nelle diverse forme di resistenza e di lotta sia minimo. Non ho dati, ma mi pare lecito ragionare.
È più probabile che l’astensione si sposi con l’indifferenza, l’apatia  e con l’assenza di ogni tipo di impegno nelle altre e diverse forme di lotta, di resistenza civile o anche di solidarietà..
È vero che in molte delle lotte frammentarie si annidi un vizio di disconoscimento del ruolo complessivo che le lotte, in ogni forma, devono assumere, e per realizzare questa opzione appare necessari un forma di relazione con le “istituzioni”. Si tratta di una grossolana interpretazione dei processi sociali e politici, che frammentano e non uniscono, che neanche scalfiscono la natura e le sedi del potere.
I partiti in campo possono non soddisfare (e non soddisfano), la classe politica (la casta) può fare orrore (e lo fa), i programmi politici possono apparire velleitari da una parte e  mendaci dall'altra (assolutamente vero), che la fiducia negli uomini politici e nelle loro parole è quasi nulla (verissimo). A tutto questo, tuttavia non si dà soluzione alternativa chiudendosi in un piccolo orto. E proprio questa chiusura che partiti, programmi e classe politica desiderano, solo in questo modo avrà pieno successo la loro manipolazione.
La scomparsa del cittadino politicizzato, cosciente e consapevole è più grave della riduzione della riduzione della biodiversità,  ne va la salvezza della “società”, della possibilità di cambiarla e anche di rivoluzionarla. Ma di questa scomparsa i partiti che non ci piacciono godono, di questa gli uomini politici che non ci piacciano hanno bisogno, su questa indifferenza si fondano i programmi farfugliati.  

Bisogna preoccuparsi seriamente, soprattutto da parte di chi vuol cambiare la società, di questa evasione dal voto, non unica espressione politica,  ma anche non piccola manifestazione della volontà politica attiva. Pochi elettori e un po’ di terrorismo fanno le società salde e immutabili.         

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