Diario n. 314
7 maggio 2016
Il nostro presidente del consiglio, Matteo Renzi , pare
si stia facendo promotore per impegnare l’Europa ha sostenere lo sviluppo dei
paesi del medio oriente e dell’Africa. Mi pare una cosa saggia e, come dire,
riparatoria, dato che i paesi europei sono storicamente responsabili del dramma economico e sociale che investe tutto
il continente. Dalle conquiste religiose a quelle imperialiste e neo-coloniali, all’invenzione
di stati e statarelli, dallo sfruttamento delle risorse (senza parlare dello
schiavismo), all’alleanza politica con regimi reazionari e conservatori, alle
azioni contro i regimi progressisti , la politica europea ha dato il peggio di sé.
Gli stati europei, Italia compresa, e poi con l’aggiunta
degli Usa ed ora della Russia e della Cina, non hanno fatto altro che una
politica di desertificazione, di distruzione e sfruttamento senza nessuna capacità
(e volontà) di ammodernare questi paesi e di promuovere forme di sviluppo
economico adeguate.
Sebbene la proposta di Renzi sia un po’ “pelosa” (come si
dice) perché finalizzata a cercare di frenare e ridurre i flussi migratori, è da
sostenere.
La proposta presenta, tuttavia, un punto debole e
accarezza un’illusione.
Non è chiaro come sarà organizzata e gestita questa promozione
allo sviluppo. In moltissimi di questi paesi non esiste una “società civile” o “corpi
intermedi” che possano essere il perno
di questo nuovo sviluppo. In questa situazione non si potrà che investire le “autorità”, i
singoli “poteri” che, democratici o meno, sono tutti fortemente corrotti (le
nostre imprese i nostri governi non hanno fatto altro che trasferire questo
virus, che ha trovato subito corpi molto disponibili all’infezione). Sarà un
vero problema politico evitare che le eventuali risorse più che allo sviluppo
finiscano per ingrassare ceti emergenti.
Lo “sviluppo” qualsiasi cosa si intende con questo termine, ha bisogno
di infrastrutture fisiche, sociali e culturali, che non si inventano dall’oggi
al domani, e che bisognano di un coordinato processo di investimento in campi
diversi.
È una cosa da fare, non è una cosa facile, né i risultati
saranno immediati.
Ecco allora l’illusione: una politica di questo tipo
dovrebbe frenare i flussi di emigrazione (o forse dovrebbe sollecitare i
governi a proibirli con la repressione?).
È certo che molti degli immigrati che a diecine di miglia
premono sulle frontiere europee (sempre
più restie ad aprire le porte)fuggono alla miseria, alla fame alla violenza o
alla guerra, ma sarebbe un errore di riduzionismo non considerare l’attrazione
che esercita non solo sul piano economico ma anche sociale e culturale l’Europa.
Vista da qualsiasi metropoli africana o da un villaggio l’Europa rappresenta
una meta desiderata, una meta spesso conosciuta attraverso la televisione e l’immagine
che ne proiettano i viaggiatori (turisti e no) che attraversano
quei paesi. Berlino, Londra, Parigi e anche Milano, Roma e Napoli, non sono
luoghi che promettono, si fa per dire, solo pane, esse sono l’immagine della luce,
di un futuro che appare denso di promesse di una vita migliore in quantità e
qualità. Negarlo sarebbe un errore e una stupidità, né possiamo farci forte dal
fatto che poi si ricreano comunità etniche e religiose nelle nostre città, né che
in qualche caso le culture (per esempio di sopraffazione delle donne) permangono.
Convivere e necessario ma non sempre facile.
Se così fosse non pensiamo seriamente che l’ipotesi di
uno sviluppo locale possa frenare l’emigrazione: siamo attrattivi, come in
epoche diverse lo sono stati altri paesi e altri continenti. L’emigrazione dei
nostri “laureati” o “dottorati”, non è solo questione di assegni, di borse, di
contratti, ma di qualità della vita e della ricerca, certo una migliore
dotazione di risorse può essere un freno, ma l’attrazione di Oxford o del Mit,
va oltre. Su un piano diverso l’umanità
che viaggia in barche sgangherate o in gommoni flosci sono spinte da uguali speranze, dal
desiderio di esplorare, da una rincorsa alla vita e spesso senza la volontà e
il desiderio di una rottura netta con la loro terra.
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