Diario
21/6/2019
Non si può sostenere che nel nostro paese
tutti gli insediamenti di donne e uomini sono tra di loro equivalenti. La
dimensione, prima di tutto, differenzia le grandi città dalle piccole e da
quelle ancora più piccole. Una differenza che ha a che fare con la possibilità
o meno di godere della condizione urbana. Ma anche la dislocazione non è priva
di effetti: le città del nord del paese e quelle del sud, a parità di
dimensione, si presentano fortemente differenziate, per esempio, per la
dotazione dei servizi collettivi, più abbondanti al nord rispetto al sud. Gli
insediamenti in montagna, prevalentemente di piccola dimensione, sono a parità
di dimensione, meno dotati di quelli che si collocavano in pianura e hanno
maggiori difficoltà a raggiungere i servizi altrove localizzati. In sostanza
non basta “stare in città” (qualsiasi cosa volesse dire “stare” e “città”) per
essere nelle stesse condizioni del vissuto
urbano di qualsiasi altra situazione dello stare in città.
La differenza tra il nord e il sud del
paese, quest’ultima caratterizzata dalla “questione meridionale”, ha anche conseguenza
sui singoli insediamenti. Il movimento di emigrazione che caratterizza le zone
del sud del paese aggrava le differenze.
Tutte questioni note e documentate. Pur
tuttavia all’interno di queste differenze si poteva cogliere una certa
situazione di relativa omogeneità tra le grandi città (diciamo le città con una
popolazione che si avvicinava al milione di abitanti). Certo ogni città godeva
(o pagava) le proprie caratteristiche specifiche (Palermo ha caratteristiche proprie
rispetto, per esempio, a Firenze); ma al netto delle conseguenze che derivavano
dalle specifiche caratteristiche della singola città, le loro attrezzature, la
dotazione di servizi, ecc., (almeno in quantità) le facevano apparire come
appartenenti ad una stessa classe di città. A mano a mano che si scendeva nella
dimensione delle città le diversità si accentuavano.
Ma oggi si possono cogliere due fenomeni che
aumentano il tasso di differenziazione. Il primo di questi è la tendenza degli
investimenti immobiliari, per uffici e
per abitazione di alta qualità, a concentrarsi soprattutto a Milano. Da questo
punto di vista il dato diffusivo dell’edilizia si è molto ridotto: il capitale
immobiliare si comporta come le mosche tutte attorno ad un goccia di miele. Che
Milano possa rappresentare un’occasione per “buoni investimenti” costituisce
una tradizione, ma oggi si coglie un densificarsi di questi investimenti in
nuovi edifici, grattacieli o similari, che sembra rispondere alle esigenze
della fase attuale di sviluppo di alcuni segmenti del capitalismo all'interno
di una crisi generale. Lo spazio che si è costruito e si sta costruendo
risponde a domande del capitale internazionale soprattutto del settore
finanziario, in tutte le sue articolazioni, o collegato alle imprese dell’innovazioni
e gestione delle comunicazione. Per quanto sia a mia conoscenza manca
un’analisi di dettaglio dei segmenti che preferiscono la scelta milanese,
tuttavia il riscontro edilizio, per sua natura, è vistosamente evidente. È
probabile che Milano offra situazioni più vantaggiose rispetto alle altre
metropoli europei (Parigi e Londra, soprattutto), sia per una inferiore
valorizzazione della rendita ma anche perché, probabilmente, si intravedono occasioni ghiotte legate ad
“eventi” di diversa portata e natura (sportivi, culturali, espositivi, della
moda ecc.). Si noti per esempio che
Milano resta una piazza fortemente caratterizzata dalla “moda”, anche se molti
dei marchi della moda italiani sono passati in mani straniere.
Quello che importa, tuttavia, in questa
breve nota, è l’accentuarsi delle
differenze tra le grandi città italiane. Detto in modo molto semplificato
Milano non ha concorrenti, e la differenza di qualità e di densità di
investimenti, che è stata tipica dal secondo dopo guerra in poi, tra Milano e
le altre grandi città, si sta fortemente accentuando, con la conseguenza ovvia
che anche il flusso, per quanto ridotto, degli investimenti pubblici subirà
l’influenza e sarà condizionato dal pressante dinamismo milanese. Questa situazione,
che meriterà di essere analizzato in dettaglio, fa riferimento ad una
concentrazione non solo di investimenti privati, ma, trainati da questi anche
di investimenti in servizi, attrezzature, manutenzione, ecc. pubblici. In sostanza la distanza tra Milano e
Roma o con Napoli, ecc. diventeranno in futuro molto più vistose che nel
presente.
Il
secondo elemento che sembra accentuare le differenze, come dire strutturali,
tra i vari tipi di insediamento, è il turismo. Non si può negare che il
turismo sia una buona occasione economica per il paese, ma non bisogna
dimenticare che il turismo, contrariamente al “suo” aspetto e all’immagine che
se ne ha, è un’industria pesante, per gli effetti che genera. Non c’è città,
cittadina o paese che non intravede nel possibile sviluppo del turismo un
meccanismo di riscatto economico. Ma non è facile conquistare i flussi turistici,
sempre più etero-diretti. Non bastano risorse naturali, paesaggistiche e
culturali (tutti i luoghi italiani ne sono dotati in abbondanza) i turisti vogliono, innanzi tutto,
essere accolti, cioè alloggiati, questa necessità rischia, nei casi di
successo, di essere penalizzante nei riguardi degli abitanti. Le grandi città
attrattive, da Barcellona a Parigi, da Vienna a Berlino, scontano
una andamento dei fitti delle abitazioni, che espellono la popolazione residente,
e la loro trasformazione in case di
ospitalità (sotto diverse forme) per turisti. I provvedimenti che le
amministrazioni di questa città hanno o si apprestano a prendere non è certo
che realizzeranno l’obiettivo prefissato.
Non solo il turismo in larga misura è stagionale determinando in tal modo un’economia ciclica
con effetti spesso devastanti sugli abitanti. Nei periodi di punta tutti i
prezzi subiscono degli incrementi ingiustificati che colpiscono la popolazione
residente, mentre nelle fasi di bassa i luoghi caratterizzati da forte presenza
turistica soffrono per l’assenza dei
servizi privati. L’economia, infatti, si adatta alla domanda turistica, di dimensione molto superiore a quella locale, e
quando quella langue meglio chiudere (la stagione è finita).
Si potrebbe sostenere che esistono molti piccoli centri che hanno subito un
forte esodo della popolazione e che quindi dispongono di uno stock di
abitazioni non utilizzate che potrebbero essere trasformate in residenze
turistiche (dall’albergo diffuso, ad altri accorgimenti dello stesso tipo). Il
dato di speranza, tuttavia, si scontra con gli investimenti necessari per tale
riconversione, risorse che localmente sono carenti, mentre gli operatori immobiliari
preferiscono puntare alla creazione di insediamenti nuovi a ridosso della
risorsa naturale turisticamente attraente, sia essa il mare o la montagna, sorgono così villaggi di nuovo insediamento
che, per esempio, hanno manomessa parte della costa sarda.
Detto questo si può ragionevolmente pensare che a parte le città d’arte, o
le zone già turisticamente note, (sia di mare che di montagna), un certo numero
di comuni potrà essere capace di attrarre turisti, questo fatto sarà un
ulteriore motivo di differenziazione tra i vari comuni e luoghi.
Mi pare di poter affermare che appare necessario nel prossimo futuro un’analisi
aggiornata delle differenziazione delle condizioni di insediamento della
popolazione del nostro paese, che tenga conto delle nuove evenienze e vada
oltre la tradizionale divisione delle città e dei comuni a secondo della
distribuzione tra nord e sud, tra montagna e pianura, ecc. Appare necessaria
una nuova mappatura del territorio italiano per mettere in evidenza le nuove
differenziazione e le nuove diseguaglianze. L’autonomia regionale di cui si
continua a parlare, e che è elemento del contrasto interno al governo, rischia
di essere un ulteriore fattore di tale diversificazione.