Diario
3 agosto 2018
L’esortazione
di Saviano sulla necessità di un impegno generalizzato degli intellettuali,
genericamente intesi, adatto a contrastare il “veleno” culturale che spande
l’attuale governo, non solo è giusta ma richiama ad una responsabilità
collettiva che sembra in qualche modo atrofizzata. Il problema fondamentale è
cosa fare e come farlo, a partire duna molto diffusa insoddisfazione per l’attività
dei corpi intermedi di sinistra.
Si possono
scrivere articoli e commenti, ma il guaio è che questi verranno pubblicati su
organi di stampa che fanno riferimento ad un’opinione pubblica consapevole
anche se non attiva. Insomma si comunica con chi la pensa più o meno come noi.
L’insoddisfazione
per i corpi intermedi di sinistra spinge qualcuno a pensare alla necessità di
una iniziativa che corregga questa situazione: l’esistente non soddisfa
pensiamo a qualcosa di “nuovo”. Leggo con vera preoccupazione della proposta,
da qualcuno avanzata, della necessità di formare un quarto “polo” di sinistra.
Mi è chiaro cosa interpreta questa proposta (l’insoddisfazione totale per i
poli di sinistra già esistenti e forse in via di estinzione), ma appare oscuro
il modo e i contenuti, l’espressione di una esigenza non basta. Anche perché quello
che circola di nuovo, si fa per dire, sono proposte che ricalcano l’esperienza
del presidente francese, tutto men che vagamente di sinistra. Siamo convinti che la costruzione di una
polarità unitaria e di sinistra non possa essere l’idea geniale di un nuovo
leader, pur necessario, ma la costruzione di una ipotesi politica
collettivamente elaborata (cosa di cui si sente parlare spesso, ma di cui non
si vede traccia riconoscibile).
La cosa
concreta che è possibile fare, almeno così mi pare, è quella di trasformare
ciascuno di noi in un corpo intermedio soggettivo, una sorta di alternativa
politica autogestita. Intendo dire che esistono molte occasioni in cui è
possibile intervenire per contestare, chiarire, contrapporre, ecc. (senza
iattanza, ma anzi con l’atteggiamento di chi vuol convincere o anche che
vorrebbe essere convinto). Sui treni, sugli autobus, al bar, ecc. si è
costretti sentire delle articolazioni del discorso politico assolutamente in
contrasto non solo con quanto può pensare una persona democratica e
genericamente progressista, ma contrarie al senso comune, alla storia, alla
realtà. Ma spesso non si ha voglia di interloquire, di entrare nelle
argomentazioni esposte, un po’ per timidezza, un po’ per educazione, un po’
perché si pensa sia inutile. Si tratta di atteggiamenti da superare, bisogna
avere la forza d’animo di contribuire a contrastare quel senso comune velenoso
che sembra prevalere. Io penso che una quota non marginale della popolazione si
adegua al senso comune prevalente con poca convinzione, soprattutto senza una
riflessione (che è, come è noto, assente nel senso comune prevalente).
Credo che
per contrastare le parole velenose sparse da questo governo della paura, della
falsificazione, e delle promesse impossibili da realizzare, sia necessario
svelare il reale, far capire dove ci stanno portando onte e gli altri
(soprattutto gli altri).
La gente
pensa che questa società non vada bene, non soddisfi le speranze, non crei
opportunità, non offre sicurezza di avvenire, per questo la parola d’ordine del
“cambiamento” è così attraente e affascinante, ma il cambiamento proposto è
vaghezza, nullità, e in concreto un cambio di “chi” governa apparentemente,
mentre in realtà le fila sono sempre tirate da quanti di questa situazione si approfittano.
Parlare della distribuzione della ricchezza, del suo aumento distorto, può
forse cominciare a chiarire, che il cambiamento necessario sia di diversa
natura, un cambio di società, non dei suoi riti.