Diario
6-7
febbraio 2018
Da
sempre la formazione delle liste elettorali sono stati un momento di tensione
all’interno delle diverse forze politiche, ambizioni personali e divergenze
politiche si amalgamavano in un contesto conflittuale. Tali tensioni si sono
aggravate quando hanno cominciato a prevalere sistemi elettorali che, con
formule diverse, richiedevano liste bloccate. L’essere o non essere in lista
diventava discriminante per l’elezioni. Questi sistemi avrebbero dovuto
correggere le storture del voto di
preferenza, che nel nostro paese non ha una
buona tradizione, soprattutto in certe regione
del mezzogiorno ha facilitato collusioni con gruppi di potere, non raramente
criminali, è stato quasi sempre elemento di “corruzione” dell’elettore e dell’eletto,
e ha fornito quote di “personale politico” di dubbia levatura e
onorabilità.
La
lista o il listino bloccato sarebbe, in questo senso, una soluzione qualora le
forze politiche da una parte fossero cresciuti sempre più come “comunità
politiche” e dall’altra si fossero radicati nel territorio o nella società. Ma
questi connotati sono sempre più evaporati lasciando scheletri senza carne che,
come i burattini, si possono manovrare a piacere.
Se
si osservassero i “lavori” (si fa per dire) per la preparazione delle liste per
le prossime elezioni si metterebbe a nudo una completa trasformazione delle “forze”
politiche (partiti, movimenti, associazioni, ecc., come piace chiamarsi) che hanno dato piena e completa dimostrazione di
non essere una comunità politica, ma
solo strumenti in mano al “capo” del momento.
Le
cronache raccontano di riunioni di poche persone (il “capo” e i fedelissimi), blindati
in stanze, spesso telefonicamente scollegate, a stilare elenchi, a spostare
persone, a premiare amici fedeli, a penalizzare i tiepidi, ecc. Lo schema è
unico: in parlamento il capo deve avere un gruppo di soldatini fedeli. Volerlo
non è poterlo; la presente legge elettorale, che dà grande potere ai partiti (o
meglio al capo), ma che, contemporaneamente, data la non stabilità elettorale, non permette una valutazione precisa dei “posti
sicuri”, ha dato come esito un vagare dei candidati che il capo vuole in
parlamento, da una città ad un'altra, da una regione del nord al sud. I
candidati “paracadutati” (come si dice) non sempre risultano ben accetti dagli
elettori locali, che li trovano estranei, non legati al territorio, ecc. (il
paradosso è quando quello che è stato un buon sindaco nella sua città viene
presentato in tutt’altra regione; per garantirlo? Per fregarlo? Si vedrà dopo,
ma certo i suoi legami con il territorio dove è candidato sono labili).
Così
è avvenuto nel PD, dove il capo, così ha
esternato, vuole avere un gruppo fidato per qualsiasi manovra deciderà dopo il
voto. Il dato caratteristico non è neanche la coesione politica, quanto
piuttosto la “fedeltà”, il domani non sarà determinato da un dibattito
politico, quanto piuttosto da quello che il capo deciderà essere la cosa
migliore. Così di gran lunga prevalenti i candidati fedeli, penalizzati le
minoranze di opposizione, ma anche i tiepidi.
In
Forza Italia abbiamo il paradosso dell’avvio del turnover dei gruppi dirigenti
nelle imprese del padrone attraverso il trasferimento
di un consistente gruppo di attuali dirigenti dalle imprese al parlamento.
La
Lega non è stata da meno, sono stati fatti fuori, almeno così raccontano le
cronache, non solo gli amici di Maroni, ma anche quelli del potentissimo
presidente della regione Veneto.
Il
“capo politico” del movimento 5* (questa è l’appellativo di Di Maio), ha
combinato tanti di quei pasticci che fa un po’ pena. L’algoritmo non ha potuto
risolvere tutti i problemi, e poi la dichiarata volontà di pescare il meglio
dalla società civile ha fatto il resto. Certo il “capo politico” non poteva
sapere, perché incapace e perché gli strumenti in suo possesso dimostrano la loro
vacuità e incapacità di cogliere il segno, che l’ammiraglio che non orgoglio
doveva essere “portato” in parlamento era consigliere comunale per un altro
partito. Quello che meraviglia ancora di più è la sfrontatezza dell’ammiraglio
che consigliere comunale del PD trova del tutto naturale candidarsi al
parlamento per 5* (e, la società civile!). Certo il “capo politico” corre ai
ripari, fa firmare inutili atti di dimissioni se eletto ad un candidato
impresentabile, depenna a destra e a manca, ma non si tratta di un bello
spettacolo, se questi sono i noti, degli ignoti chi garantisce?
Ma
lasciamo stare il folclore e guardiamo alla sostanza. Il problema che è emerso,
con troppa evidenza per non essere guardato negli occhi, è la fine di ogni
dinamica democratica interna a queste organizzazioni che continuiamo a chiamare
partiti ma che sono solo delle organizzazioni elettorali al servizio ora dell’uno
ora dell’altro. È evidente il manifestarsi di una sorta di totalitarismo organizzativo che non può non influenzare la società.
Non
è possibile meravigliarsi se la percentuale degli astenuti, di quanti non vanno
a votare o di quanti annullano la scheda, tende ad aumentare. Né ci si può
consolare osservando che si tratta di una tendenza mondiale. In realtà si è
creata una frattura profonda tra la società e le organizzazioni politiche, tra
la società e le istituzioni pubbliche, del resto l’episodio della formazione
delle liste è un esempio lampante della “solitudine” della politica. Ma quello
che pare in gioco non è questa o un’altra occasione, quello che pare messo in
discussione è il tono democratico di un paese. Quella che è in discussione è la
relazione tra una qualche forma di democrazia e l’attuale assetto sociale ed
economico. Né vale essere distratti e poi scendere in piazza quando il peggio è
già avvenuto (comunque scendere in piazza fa sempre bene)
Quanti
articoli e libri abbiamo letto nei quali la soluzione della crisi di democrazia
era individuata nel rapporto telematico, ma mi pare si possa
essere scettici, il rapporto telematico dimostra tutta la sua inefficacia, la
sua volatilità e la trasformazione della “scelta politica” in un gioco di cui
non si conoscono le regole, o diciamo meglio qualcuno di volta in volta piega
le regole al suo interesse.
La
politica non è più in rapporto con la società. Alcuni gruppi di potere fanno la politica, per lo più mentendo e
raccontando frottole, intorno ad un capo che “sfonda lo schermo”; esiste un
gruppo di persone appassionate, si potrebbe dire dei viziosi, che si
interessano ai fatti della politica, un gruppo sempre più sottile, una sorta di club amante
del picchio rosso; il resto della società pensa ad altro, o meglio pensa ai
fatti propri che cerca di realizzare in modo lecito, in modo quasi lecito o in
modo illecito. Tra questi ci sono gli elettori, sempre meno, a cui i politici
sono interessati. Come conquistarli? Il modo tradizionale è quello della “promesse”,
promesse campate in aria, non realizzabili e senza scadenza. ma ormai il disincanto
è molto avanzato: la gente sempre meno fa affidamento alla politica, fa finta di
crederci, la gente è buona, applaudisce anche, ma poi punta su se stessa ed alimenta un
individualismo sfrenato e viscerale.
Ma
i politici riescono a immaginare della cose che sono fuori dalla portata di noi
umani: per superare l’indifferenza e la sordità niente di meglio che alimentare
la paura. Non ci siamo mai liberati
dalle nostre paure infantili: il lupo, l’orco, l’uomo nero,…il nostro mondo
infantile è pieno di mostri, non ci pensiamo ma essi lavorano dentro di noi. Il
meglio è svegliare questi mostri; diffidare bisogna, ciascuno è nemico a te, ma
alcuni sono più pericolosi, uccidono, stuprano, rubano. Devi difenderti,
bisogna cacciarli. L’immigrato è il mostro dei nostri giorni; mi domando spesso
a quanti bambini si racconta non più del lupo cattivo, ma del negro terribile.
Il
fascismo militante, con le sue ronde, con i suoi pestaggi, con le sue
sparatorie, dice dovete aver paura, noi vi difendiamo, vogliamo difendere la
razza, la nostra razza, dovete affidarvi a noi. Loro di razza se ne intendono, milioni
sono gli ebrei che i loro padri politici hanno mandato nelle camere a gas. Questi
potrebbero essere spazzati via, la violenza, i traffici che gestiscono, ecc.
sarebbero più che sufficienti per ridurli all’impotenza. Loro non sono un
pericolo diretto, ma fanno clima. I veri pericolosi sono quelli più o meno in
giacca e cravatta, più o meno membri del parlamento o aspiranti tali, che
giudicano le violenze dei primi delle ragazzate, ma con i loro discorsi, piene
di menzogne di esagerazione, di negazione dei diritti civili, che enumerano le
centinaia di miglia di immigrati clandestini che dovrebbero essere mandati via,
rimpatriati, alimentano la paura. Sono questi che cercano di pescare nella
massa disincantata ma impaurita. Sono questi che invitano i cittadini a
denunziare dove si annidano i clandestini. Ma fanno finta di non saperlo,
mentre lo sanno tutti, basta andare in campagna durante la raccolta del
pomidoro, o altri periodi critici e la si trovano, ma quelli servono, si tratta
di manodopera pagata pochissimo e super sfruttata gestita dalla organizzazioni criminali.
Questi devono essere lasciati allo stato di clandestini, senza diritti per
poter essere meglio sfruttati.
L’avevo
già scritto un’altra volta, gli umori della nostra società non mi sembrano, come
dire, democratici, ma virano verso forme nuove di fascismo, verso la richiesta
di un “potere forte” di cui il totalitarismo organizzativo mostrato dai partiti
in questo scorcio di febbraio fornisce un esempio e una guida.
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