Diario
n. 327
8/12/2016
Il
referendum è archiviato. La vittoria del No, mette in movimento la politica, ma
quello che è spaventoso è il vuoto a sinistra.
Spezzoni, correnti, circoli, congressi … tutti divisi ma tutti
rivendicando, ovviamente, la necessità di unità.
Renzi
e il suo disegno pasticciato sono stati battuti; non si è visto il “disastro”
annunziato, ma questo non vuole dire che la finanza stava con il NO, ma solo
che la logica della finanza sfugge a molti osservatori. La finanza non gode del
caos, ma se gli serve il caos lo crea in perfetta autonomia, senza bisogno della “politica”.
Ma
Renzi è questione del PD, questo non può essere dimenticato; non conviene
tradurre i sogni in realtà. Sul PD si può fare pressione per una nuova leadership,
ma quello che importa è la linea politica che sarà definita dal prossimo
congresso di quel partito. Non credo che
sia indifferente la persona che guiderà
il PD, figuriamoci, gli uomini e donne contano, la loro capacità e personalità
contano, ma quello che interessa è la correzione di linea politica.
A
molto di noi piacerebbe un governo di SINISTRA, ma … prima non ci sono le
forze, secondo manca la consapevolezza
completa della situazione e della sua evoluzione, terzo il “programma” che si
mette in campo è modesto; un programma
che definisce come alleviare, e non è
poco, le sofferenze della popolazione, ma che è incapace di dire come e in che
direzione può avvenire il mutamento della società (questo è all’ordine del
giorno). Una sinistra inadeguata, assolutamente inadeguata, ma con questo stato
bisogna fare i conti; cambiare questa situazione ha bisogno di tempo e di tanto
lavoro, non di fantasia, ma di un po’ di utopia, non narrazioni, ma progetti di società. Insomma un duro lavoro
collettivo immerso nelle lotte nazionali e internazionali.
Al
referendum il “popolo” ha sconfitto l’establishment, diamolo per buono, forse è meglio pensarlo
come il risultato di uno scontro tra idee diverse di organizzazione
istituzionale. Dentro un referendum c’è tutto: fede indiscussa, antipatia,
contrasti di interessi, voglia di rivincita, tentativi di posizionamento e anche idee diverse. Se Renzi sbaglia (la
sua solita arroganza) a attribuirsi il 40%, c’è da dire che nel 60% ci sono dei
germi pericolosi contro cui non siano vaccinati.
Non
credo che possa interessare più di tanto pensare se Renzi possa essere
rieducato, convertito o rotamato. Il PD è chiamato ad una riflessione seria
(dura, dice Renzi; minaccia), alla definizione del suo ruolo in questa fase
storica, prima di definire le alleanze o insieme a definire le alleanze,
affidando la guida del partito a mani capaci. Se questa riflessione quel
partito sarà capace di fare non credo che possa venire fuori un linea di
sinistra, ma si spera una linea progressista, un centro progressista che guardi
i meccanismi di esclusione, di emarginazione, di diseguaglianze.
Se
così fosse, e non sarebbe male, una sinistra ricomposta (speranza), unità
(speranza), fondata su analisi puntuali (speranza) e con un programma di transizione
(speranza), potrebbe allearsi con un PD progressista per un governo che sappia
intervenire sulla realtà, che guardi si alle sofferenze ma anche al futuro. Un
governo e un’iniziativa politica che sappia arginare il populismo eversivo, che
non è l’inesorabile risultato dei tempi, ma l’esito di un depauperamento dell’iniziativa
pubblica.
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