mercoledì 10 luglio 2013

Ribellione, “società media” e crisi del capitalismo


Commentatori, studiosi e ricercatori stanno cercando di mettere in chiaro cosa rappresentano, nel mondo, i grandi “movimenti di ribellione”, e cosa può succedere. Dall’Egitto, alla Russia, dalla Turchia agli Usa, dalla Grecia alla Cina, dal Brasile alla Spagna … piazze piene, scontri, rivendicazioni, domande.

Si cercano similitudini, si individuano differenze; nessuno nega che qualcosa sta avvenendo a livello globale (un tempo si sarebbe detto a livello mondiale); si mettono in evidenza che in tutte queste manifestazioni di protesta e di ribellione è forte presenza di una “classe media”; internet viene esaltata come strumento di mobilizzazione, si mette in luce una di rivendicata democrazia diretta, ecc. Ma si tratta di analisi non convincenti fino in fondo. 

Scrive Guido Rossi “Questo coacervo di rivolte della borghesia verso se stessa e il fallimento delle democrazie di fronte alle conseguenze della globalizzazione portano a concludere che i sistemi di democrazia delegata, con le nobili tradizioni che ci sono derivate dall’illuminismo, sono destinate a dover essere profondamente rivisti. Alla base della democrazia dovranno essere poste come prioritarie ed essenziali le condizioni di vita e i fondamentali diritti umani che le classi medie del mondo stanno pretendendo con impeto” (Il Sole 24 Ore, 7 luglio).

E Franco Venturini “I nostri brevi cenni non possono esaurire il dilemma tra rabbia globale e rabbia locale se non dimostrando che nessuna delle due formule può reggere da sola alla complessità delle situazioni specifiche. Di davvero globale, forse, c’è soprattutto una crisi di sistema. Le democrazie capitaliste, diventate più “finanziarie” dopo la globalizzazione economica, cercano con un certo affanno nuove regole di autogoverno… E accanto alla crisi sistemica emerge un altro elemento globale: la perdita della paura e della passività, ovunque. Ma se questo basti a innescare davvero un tempo della rabbia globale, senza bisogno di maestri buoni e cattivi … è cosa che resta tutta da vedere. Almeno fino a quando, e speriamo che non accada, la rabbia delle classi medie si allargherà ovunque ai poveri” (La Lettura, supplemento al Corriere della Sera, 7 luglio). 

Interessanti ma, almeno a me, paiono carenti di un dato: non si è ancora compreso che finanziarizzazione, soprattutto, e globalizzazione hanno cambiato la natura del sistema economico; si sottolinea molto la crisi della democrazia, ma non si vede come sia incompatibili la democrazia, che ci è nota, e l’attuale forma di quello che continuiamo a chiamare capitalismo. E se negli studiosi non c’è la consapevolezza di questo passaggio, nelle “masse” (protestanti) è il vissuto che li rende inconsapevolmente consapevoli delle grandi trasformazioni. C’è bisogno dei maestri a cui fa cenno Venturini, infatti senza teoria non c’è cambiamento, non c’è trasformazione, non c’è rivoluzione.

È sicuramente vero che nelle recenti manifestazioni di protesta, in atto, quelle a riposo (e le future), è prevalente la presenza di un ceto medio di discreta posizione economica e acculturato, come di giovani istruiti, è vero che c’è latente o manifesta una rivendicazione di “nuova e diversa” democrazia, è vero che uno dei nodi rivendicativi appare la “libertà laica”, ma è altrettanto evidente che di petto vengono assunte le condizioni di vita delle città (ambiente, trasporti, scuole, sanità, ecc.). Un’umanità prevalentemente urbanizzata con il funzionamento della città deve fare i conti. Ma c’è un dato in qualche modo nuovo: non si rivendica una maggiore “partecipazione” alla ricchezza (salari, stipendi, ecc.), ma piuttosto si chiede una maggiore spesa pubblica a garanzia di migliore condizioni di vita (infrastrutture e servizi). Ora se si guarda oltre, si coglie una rivendicazione di maggiore uguaglianza, sapendo che le proprie condizioni di vita di ciascuno dipendono dal proprio reddito ma anche dai servizi ai quali gli sarà possibile accedere. I servizi pubblici sono reddito reale per chi ne gode. Ma sempre più (lo misuriamo anche nel nostro paese) questi servizi sono incompatibile con l’attuale assetto economico-sociale. Una soddisfacente risposta a quello che si muove a livello mondo può venire solo con una modifica dell’assetto economico sociale con una riduzione drastica (cancellazione?) delle diseguaglianze. 

Come? È questione complessa alla quale non ho una risposta, né la risposta può essere singola, essa forse può nascere all’interno del conflitto, ma oltre al conflitto stesso.

Guardando al nostro paese trovo interessante la folla di candidati alla segreteria del PD, ma trovo molto, ma molto limitato, che la discussione si focalizzi sulla “natura e forma del partito”, mentre pochissimo interesse suscita il sistema socio economico (oltre il rituale riferimento alla crisi e alle condizione di disaggio sociale). Lunga questa strada la sinistra non vedrà molta luce e soprattutto non sarà in grado di guidarci fuori dalle tenebre crescenti.





Nessun commento:

Posta un commento