venerdì 26 giugno 2020

Questa vince e la comunità perde



Diario 26 giugno 2020

Il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia lavorano ad un ulteriore disavanzo del bilancio dello Stato: per tutte le cose che il Governo vuole fare sono necessarie nuove risorse, dove trovarli? Nel mercato, cioè indebitandosi e predisponendosi a pagare interessi (oltre la restituzione del capitale) a chi comprerà i titoli di stato.
Sembra tutto molto lineare:
lo Stato prende in prestito – i cittadini danno in prestito le loro risorse finanziarie allo Stato – quest’ultimo paga loro gli interessi.
Un’operazione di mercato, niente da eccepire se non fosse che dentro questa operazione di mercato c’è anche un’operazione sociale.
Chi sono i cittadini che prestano soldi allo Stato?  Non certo operai, non certo infermiere, non certo maestre, non certo artigiani (tradizionali) ecc. ma sono onesti cittadini che con la loro capacità professionale o la loro capacità d’impresa hanno guadagnato e accumulato (banalmente possiamo dire parte consistente dell’1% della popolazione).
Ora contrariamente a quanto si è sostenuto dall’inizio dell’era del capitale, è chiaro che pochi vogliono correre l’alia del mercato attivato attività industriali, sempre più nel tempo si è affermata la tendenza finanziaria (fare soldi con i soldi, e non impiegando le risorse nelle produzioni industriali). Faccio di tutta un erba un fascio, e questo non è bene, ma forse chiarisce la realtà.
Immaginiamo il sig. Giuseppe Brambrilla, che possiede una media impresa che produce beni di consumo. Una impresa che negli anni è andato molto bene, esportava, guadagnava e il nostro sig. Brambrilla accumulava. Nelle situazione di crisi coronavirus l’azienda non va molto bene, ci sarebbero da fare investimenti innovativi nella produzione e investimenti di riorganizzazione della catena di esportazione. Il coronavirus non è responsabilità di Branbrilla, e allora come tanti suoi colleghi il nostro richiede l’aiuto allo Stato, richiede risorse a fondo perduto e prestiti a lungo periodo e a basso tasso.
Lo Stato riconosce l’esigenza che l’economia riparta (come si dice) e non avendo risorse richiede al mercato di essere finanziato, emette cioè buoni del tesoro o similari, il mercato risponde con prontezza e così scopriamo che il Sig Brambilla con un mano prende soldi dalla Stato e con l’altra fornisce allo Stato le risorse che in parte gli vengono dati con nell’altra mano.
Il Mercato può sembrare una scena oscura, me se si accendono le luci, ecco apparire tanti Brambilla, mentre in platea c’è la comunità che paga gli interessi a Brambilla perché lui possa guadagnare con la sua impresa ed anche con i buoni del tesoro.
Non credo che un sistema di questo tipo possa avere vita molto lunga.     







venerdì 19 giugno 2020

C'è o non c'è liquidità




Diario 19 giugno 2020

Tra le maglie delle discussioni politiche e delle relative contrapposizione, emerge, nelle ultime settimane, una questione non di poco conto: alcuni argomentano che lo Stato non riesce a far fronte agli impegni assunti con i molti decreti (per esempio la cassa integrazione) ostacolato dai meccanismi burocratici (di conseguenza per inattività del governo), altri individuano l’ostacolo nella mancanza di liquidità (il governo non ha risorse).
È chiaro che una risposta netta alla questione pone la discussione su binari più certi. È possibile dare una risposta chiara? Proviamo.
È certo e documentato che le disponibilità liquidi a disposizione del Tesoro a maggio 2020 ammontavano a circa 61 miliardi di euro.
Dal bilancio semplificato dello Stato e calcolando le spese per ciascun mese (grossolanamente dividendo il totale delle spese per 12 mesi), risulta un fabbisogno mensile (in media) per spese correnti di circa 52 miliardi, e un fabbisogno medio per spese totali di circa 75 miliardi mensili.
Se le cose stessero così apparirebbe evidente che la liquidità è poco superiore al fabbisogno mensile per spese correnti mensile, e del tutto inferiore al fabbisogno mensile per spese totali.
Da questi semplici e semplificati numeri risulta che la versione di chi sostiene l’esistenza di una carenza di liquidità è maggiormente verificata rispetto a chi assegna la responsabilità alle deficienze burocratiche.
Questa situazione dovrebbe suggerire alcune cose: che lo Stato dovrà far ricorso a prestiti privati (buoni del tesoro) e che questi non devono essere sottoposti a vincoli (irredimibili) pena il non ottenere i prestiti necessari; ancora che la discussione circa il prendere o non prendere i soldi della UE è priva di qualsiasi significato; infine che la tanto proclamata riforma fiscale per ridurre il carico fiscale deve essere fatto con i piedi di piombo (onde evitare che il fabbisogno sovrasti abbondantemente le entrate).
La finanza pubblica è materia delicata e anche molto sensibile,  l’indebitamento crescente determina situazioni di non governabilità (nel contesto politico attuale), ma è anche una necessità ove si continui a chiudere gli occhi sui processi di accumulazione finanziaria e sugli ingiustificati processi di arricchimento.


martedì 16 giugno 2020

Mobilizzazione di massa per il lavoro


Diario
15 giugno 2020

Mi pare che l’obiettivo di cui si discute, al di la delle affermazione di sburocratizzazione,  fibra veloce, ecc. sia quello di far ripartire la macchina così come era dal punto di vista sociale. Certo un po’ di distribuzione di euro a pioggia, alle imprese che piangono, alle famiglie in condizione precarie, ecc.
Quello che più preoccupa e il continuo riferimento alla riforma fiscale. Si parla di una aliquota, di due di tre aliquote, ma lo scopo dichiarato e più spesso sottointeso, è la diminuzione della pressione fiscale. Mentre non si fa fatica a riconoscere che nel comparto della fiscalità esistono storture e pasticci che possono essere eliminate, ma non mi pare sia questo il tema. Per ridurre la pressione fiscale, di cui molti si fanno paladini, l’unica strada è quella di ridurre le imposte ai redditi maggiori, operare sui redditi minimi potrebbe essere un atto di giustizia sociale ma con un effetto minimo sulla pressione fiscale.
A me pare che una delle maggiori storture del nostro sistema economico-sociale sia la distribuzione del reddito tra individui e famiglie. Una distorta distribuzione che, contrariamente a quanto affermato da più parti, non produce tendenza all’investimento produttivo, ma in chi si appropria della parte maggiore sviluppa investimenti finanziari (produrre denaro a mezzo denaro e a scapito dei merli e in favore delle crisi).
Mi faccio carico della debolezza di questo governo, e di qualsiasi governo che eventualmente lo sostituisca, nell’aggredire la questione alla base, mettendo dei drastici limiti ai processi di accumulazione. Diamo per impossibile in questa fase (ma chi sa in quale?) di colpire il processo di accumulazione distorta e poniamo il problema di come si possa fare diversamente.
Non potendo operare sui redditi maggiori si può operare sui rediti minori o sui senza reddito (per esempio i disoccupati). Partiamo dalla considerazione che ci sono migliaia di lavori da fare, compresi alcuni indicati dallo stesso governo, ma perché la realizzazione di questi lavori possa incidere anche sulla distribuzione del reddito bisognerebbe promuovere una mobilizzazione di massa, di uomini, donne e giovani,  impegnandorli in lavori necessari, una mobilizzazione di massa con una prevalenza nel mezzogiorno, ma non solo. Non elargire sussidi di varie specie ma dare salari equi. Non distribuire euro alle imprese, che sembrano ormai degli extra-comunitari con la mano tesa all’uscita dei supermercati,  ma offrire loro la possibilità di impegnarsi autonomamente in questa mobilizzazione di massa e con  la concreta prospettiva di una crescita della domanda. Svincolare quote di popolazione dalla sottomissioni ai caporali, a elargitori di favori,  alla carità, e alla indignitosa povertà, attraverso lavori dignitosi, in grado si utilizzare saperi nuovi e tradizionali, saperi riqualificati, lavori sicuri e continuativi è la strada per aumentare la dignità dei singoli, l’autostima, la sicurezza familiare, e contemporaneamente innalzare il livello della socialità.
I lavori sono infiniti come per esempio, infrastrutture e loro manutenzione, manutezione di edifici pubblici e di scuole, difesa dell’ambiente, attività che possano scongiurare disastri ambientali, cura dei bambini, istruzione dei giovani ma anche degli anziani, cura degli anziani, cura dei malati, innovazione energetica, miglioramento delle città e dei paesi, difesa dell’acqua dallo sperpero,  sistemazione di archivi pubblici e di biblioteche,  ecc. Tutti lavori che possono coinvolgere livelli diversi di professionalità e di capacità operativa.
Per fare questo sarebbe necessario la costituzione di un Segretariato governativo per la riqualificazione del paese, che fosse svincolato da molti meccanismi burocratici e che operasse sulla base di poche ma chiare ed essenziali regole, che operasse scelte in rapporto diretto  con le autonomia locali,  che fosse diretto da un responsabile coadiuvato da un gruppo di esperti corresponsabili, e che forse costretto ad una rendicontazione semestrale al Parlamento. Mentre un gruppo di esperti indipendenti e di valore potrebbe  costituire una sorta di comitato di consulenza e di garanzia.   
Si è detto di una mobilizzazione di massa, ma sia chiaro quello a cui ci si riferisce è un grande processo politico, partecipato e dominato da obiettivi chiari sia sul piano politico-sociale che su quello tecnico realizzativo, mentre la partecipazione degli enti locali potrebbe costituire un buono strumento per l’individuazione di specifici obiettivi.  Un Segretariato che abbia capacità politica e organizzativa e non si affossi sul piano burocratico.
Solo così nemmeno un euro andrebbe sciupato. Come piace dire.

domenica 7 giugno 2020

L'italianità



Diario 7 giugno 2020

Non so se capita anche a voi ma questa orgia di italianità mi è insopportabile: la carne da allevamenti italiani; il latte da allevamenti italiani; le uova da allevamenti italiani; polli, salsicce, ecc.  L’italianità come elemento di garanzia di qualità e di bontà.
L’italianità travalica dalla pubblicità ai discorsi televisivi, ai dibattiti, ai discorsi politici, alla stampa, ecc. Non se ne può più. Ci vogliono far sentire orgogliosi di essere italiani, ma questo è possibile solo se non si ha memoria.
Il nostro paese non è estraneo a sofisticazioni, alcuni di questi, qualche anno fa hanno avuto esiti drammatici, spesso la polizia che si occupa della questione, almeno prima del coronavirus, emettevano multe salate, a riprova che qualche problema esisteva. Insomma la italianità non è garanzia di nulla  (senza parlare della falsificazione dei marchi di vestiti e pelletterie di cui siamo maestri).
Inoltre questa propaganda, e non ce ne sarebbe affatto bisogno,  stimola il nostro antagonismo verso gli stranieri, ovviamente immigrati, il tutto in contraddizione con l’invito ai turisti straniere di venire in Italia.
Certo si può dire che queste osservazioni sono esagerate, ma non possiamo non tenere conto che il linguaggio è fondamentale per costruire la coscienza collettiva. Una coscienza collettiva che oggi un po’ dovrebbe preoccuparci, perché esprime umori non condivisibili (egoismo, indifferenza collettiva, vedi le recenti manifestazioni politiche nel disprezzo di ogni cautela sanitaria, voglia di accaparramento, individualismo), e che non dovremmo minimamente alimentare.