venerdì 26 febbraio 2021

Draghi e la capacità di governo

 

Diario

6 febbraio 2021

 

Per quanto bisogna essere cauti, il governo fa i primi passi, ma come diceva mia nonna “il buon giorno si vede dal mattino”. Dall’uomo al comando “plurichiesto”, noto per la sua indubbia competenza,  ad uso a trattare con i potenti della terra e nello stesso tempo a comandare, c’era da attendersi,  fin dall’inizio, delle scelte da farci restare con la bocca aperta. Niente di tutto questo, non solo,  ma mi pare si possa leggere in filigrana una strategia non adeguata a governare un paese.

Se hai un obiettivo solo, fosse anche ambizioso e di grande rilievo, come salvare l’euro, puoi indirizzare tutte le forse disponibili verso questo obiettivo, ma se governi un paese dove sono rilevanti, un po’ alla rinfusa, il controllo dell’epidemia, il crescente numero delle famiglie in difficoltà, la scuola (apertura e sicurezza), il calo dei consumi, il blocco dei licenziamenti, la disoccupazione in aumento, la capacità di arricchirsi di alcune categorie sfruttando la pandemia, i giovani che non studiano e non lavorano, i femminicidi, il consumo di droga, l’arrivo degli immigrati, la partecipazione a missioni di “pace” nel mondo,  le aziende in crisi, ecc. ecc. allora l’algoritmo diventa  molto complesso, non meccanico e automatico e necessità di una forte capacità di … governo.

Il motto andreottiano “a pensar male si fa peccato ma si indovina”, mi fa ribrezzo, per il suo cinismo e per l’assoluto disprezzo per il genere umano, ma senza pensar male, ma guardando alle scelte del presidente Draghi, si ha l’impressione che abbia messo a fuoco delle questioni privilegiate, mentre per il resto del ventaglio delle competenze e dei compiti di governo si sia “abbandonato”  alla tradizione. Non vi è dubbio che la lotta al virus e la messa a punto di un piano di spesa per le risorse che verranno dalla UE siano importanti, importantissimi, ma anche il resto riveste una rilevanza che non può essere dimenticata.

Mi sembra, per esempio, che il presidente Draghi abbia dimostrato una certa indifferenza per le indicazioni fornite dai partiti, per la nomina dei ministri. Non si può dire che si tratti del governo dei migliori. Ha badato ad alcune scelte che stavano nelle sue priorità, ma anche qui facendo perno su “amicizia e fedeltà” e su non meditati consigli. Per non parlare della questione dei vice ministri e sottosegretari, tutti bravi e soprattutto dotati di competenze multiple (il passaggio da un ministero ad un altro non contava). Una marea di nomine, risolvendo il problema della complessità delle questioni attraverso la numerosità dei responsabile. Brutta strategia.

Ma c’è un punto che mi ha meravigliato oltre misura, la nomina di Francesco Giavazza a consulente della Presidenza del consiglio. Il Prof. Giavazza ci allieta spesso con i suoi editoriali super liberisti, né mi pare che le sue precedenti consulenze (al governo  D’Alema  e al governo Monti) hanno lasciato il segno. La sua posizione è contraria ad ogni intervento dello Stato in economia, un liberista senza rete. Non è chiaro perché Draghi abbia scelto a suo consulente un professore di idee vecchie e non piuttosto uno dei tanti brillanti economisti con un forte senso di realismo.

Il prof. Caffè, per quanto l’ho conosciuto e discusso con lui nel suo studiolo in facoltà (mi spiace solo dell’esiguità del numero degli incontri, per colpa mia) scuote le testa riflettendo sull’uso che dei suoi  insegnamenti fa il suo allievo Draghi.      

   

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