martedì 25 febbraio 2014

Renzi: il discorso di investitura




Diario 250

Nel suo discorso alle Camere Renzi aveva due strade, ambedue difficili.

Scegliere la strada del dettaglio programmatico: cosa fare, come farlo, quando farlo, con chi farlo (in un certo senso il famoso foglio excel, di cui si è parlato nei giorni scorsi). Quindi un discorso lungo, difficile da seguire, fatto di cifre e date, ma … concreto. Renzi non ha seguito questa strada, intanto perché non è nelle sue corde, la specificazione oltre la generalizzazione non è cosa sua, e poi perché quasi sicuramente ancora non sa cosa fare e cosa potrà fare. I suoi ministri non si sono ancora messi a lavoro, il ministro dell’economia è appena arrivato, ecc.

La seconda strada era ambiziosa ma forse fondamentale per chi vuole “cambiare verso” al paese, anche se sarebbe stata criticata per ambizione e genericità. Date le ambizioni ci si aspettava qualcosa di simile: non spiegare quello che avrebbe voluto fare, ma illustrare come vorrebbe trasformare il paese. Una sorta di discorso sul “rinascimento Italia” (so che il termine “rinascimento” è frustro, mi scuso), la narrazione (termine alla moda) di come potrebbe essere questo paese e di come lui (e il suo partito) vorrebbe che diventasse. Parlare quindi: di equità, non la cancellazione delle diseguaglianze, non esageriamo, ma almeno la loro forte riduzione in una situazione in cui ciascuno possa avere dignità di vita; di esaltazione della politica, chiamando i cittadini alla partecipazione nel definire le scelte specifiche ma anche nel gestirle; della solidarietà come “scambio” tra cittadini attivi; di incremento dei diritti e di libertà individuali; del ruolo dello Stato né come semplice controllore, né come ostacolo, ma come moltiplicatore delle forze per la rinascita; dell’impresa pubblica come motore dello sviluppo complessivo e base per un sano sviluppo industriale privato; della fiscalità non come oppressione da correggere, ma da rendere equa e progressiva, strumento (che potrebbe anche crescere la sua pressione) per governare un “dare e avere” in relazione a come si vuole il paese; delle forze armate non come centri di spesa ma come servizio civile; del territorio da organizzare, difendere e rafforzare; dell’ambiente non come stella immobile ma come nicchia della specie; della cultura non solo come scolarizzazione, ma anche come rinascita del saper diffuso e generale; della fine di ogni discriminazione di sesso, di razza, di religione, per una uguaglianza attiva; della società non come “oppressione” dell’individuo ma come condizione per l’esaltazione dell’individualità; dell’onestà come prerogativa di tutti; dei giovani non solo come forza lavoro in attesa di occupazione, ma come una delle forze vitali e protagoniste della rinascita; della tecnologia e della scienza non come mostri da temere ma come strumenti di liberazione; di un’Europa dei popoli; ….

È l’intreccio di questi (e altri) singoli elementi (non la loro singolarità) che avrebbero potuto segnare una discontinuità, una innovazione, una radicalità di progetto, non una squadra di uomini e donne di cui fidarsi e aspettarne le azioni. Questa non è la politica che ci vuole.

Renzi non ha scelto né la prima, né la seconda strada offrendoci un discorso piatto, pieno di generiche promesse, arrogante anche nell'assunzione della personale responsabilità. Ma non è questione di incapacità, quanto piuttosto di vuoto politico. Come fa a pensare che la diminuzione del cuneo fiscale (vedremo), la riduzione delle tasse (vedremo), la riorganizzazione della burocrazia (vedremo), possano far cambiare verso al paese in assenza di un principio ordinatore, di una fascinazione, di un disegna di società? Ingenuità e povertà di immaginazione e di cultura, ridotte alle frasette su tuwist, gocce di pensiero, di cultura e di impegno.

Per far cambiare verso al paese devi avere dietro il paese, ma non come entusiasti osservatori (e magari votanti), ma come faticoso impegno attivo, come coinvolgimento, come partecipazione e parte.

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