martedì 11 febbraio 2014

Il “golpe” … desiderato


Il “golpe” … desiderato

Diario n. 246



La pubblicazione di un recente libro sull’anno 2011, con le rivelazioni sulle azioni di Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica, ha scatenato una grande agitazione tra le forze politiche e i giornalisti, con l’accusa a Napolitano di avere organizzato un golpe. Una agitazione fondata? credo proprio di no. Forse il Presidente della Repubblica è andato un po’ oltre alle proprie prerogative: ha fortemente voluto il governo Monti, e noi l’abbiamo pagato, ma quello che ha fatto era sotto gli occhi di tutti e registrato puntualmente sulla stampa. A questo scopo vi allego una ricostruzione pubblicata dal Il Manifesto che mette in chiaro che tutti sapevano e tutti … volevano. A cominciare da chi oggi fa lo scandalizzato.

A margine della pubblicazione del libro vorrei osservare che la “riservatezza” non è connotato della nostra classe dirigente (politica e no): tutti hanno rilasciate interviste inutili, perché tutto si sapeva, ma “io sapevo”, “io ho avuto la confidenza”, “a me è stato chiesto consiglio” ha premiato la vanità di questi personaggi.

Da Il Manifesto 11 febbraio 2014

La riscoperta dell'amato «golpe»
di Andrea Fabozzi

Dunque Mario Monti riceve l'incarico di formare il suo primo governo nel novembre 2011, ma già a luglio si par­lava di lui come sostituto di Silvio Berlusconi. Scoop o lancio promozionale che sia, il Corrie­re della Sera ha le carte in regola per farlo. Ha infatti tutto nel suo archivio, tutto già compo­sto e raccontato. Tradizionalmente parco -« sobrio» si dirà poi -, tra luglio e agosto di quell'anno Monti scrive quattro editoriali in fila sulla prima pagina del Corriere. Bastano i titoli. «Troppo timidi per crescere», «Quello che serve (davvero) al paese», «Il podestà fore­stiero», «Un nuovo governo dell'economia». Il secondo, un programma (davvero) di gover­no, Monti lo pubblica anche sul Financial Ti­mes, l'altro giornale che ieri ha scoperto, con un po' di ritardo, cosa stava succedendo quel­l'estate. Scoppia la tempesta degli spread, dal­l'Europa piovono diktat che il governo Berlusconi-Tremonti puntualmente sottoscrive, ed è proprio il Corriere a lanciare l'alternati­va: «La ricetta Monti» compare nei titoli di quel giornale, mentre le cronache lì come al­trove informano che il governo tecnico è die­tro l'angolo. Per conoscere la «ricetta» biso­gnerà aspettare solo qualche settimana, la si potrà assaggiare in forma di decreti.

Napolitano tramava nell'ombra? Nell'om­bra no di sicuro, altrimenti non avrebbe potu­to ricevere il sostegno e l'incoraggiamento del Corriere che l’11 luglio puntualizzava: «Si sono creati i presupposti per una sorta di uni­tà nazionale a geometria variabile». Il presidente della Repubblica aveva già fatto di tutto compresa l'inaudita consultazione al Quirinale dei capigruppo parlamentari, con il governo ancora saldo in carica. Quotidiani i suoi appelli alla collaborazione tra partiti, proprio a luglio diventati più che espliciti con la richiesta di «coesione nazionale per affron­tare le difficili prove». Le opposizioni non se lo fanno ripetere e danno il via libera alla ma­novra di Tremonti, ma Napolitano vuole esse­re ancora più chiaro e aggiunge: «Bene, ma presto occorreranno altre prove di coesione». Il governissimo è in pista, Monti l'unico can­didato seriamente a guidarlo. Bindi, Letta e Bersani gradiscono pubblicamente. Il Giorna­le naturalmente no: «I poteri forti tramano: vogliono Monti» è un titolo da 25 luglio, ma del 2011. Interessante anche il sottotitolo: «Da Banca Intesa a Repubblica, ecco l'econo­mista scelto per dare l'assalto al governo». Banca Intesa cioè Corrado Passera, riscoper­to dallo scoop di ieri. E Repubblica cioè Carlo De Benedetti: che facesse il tifo per Monti era cosa nota non solo a Sant Moritz ma anche in Bocconi, dove l'Ingegnere era andato sem­pre in quel fatale luglio a parlare in pubblico della crisi e dei rimedi possibili con il professore (e con Bersani). L'altro testimone dell'ascesa di Monti «riscoperto» con tre anni di ritardo è Romani Prodi. Di lui il 24 luglio si po­tevano già leggere sulla Stampa le stesse parole ritrovate ieri sul Corriere: «Caro Mario - di­ceva allora l'ex presidente del Consiglio - sta­volta tocca a te». Un indovino?

Non serviva una seduta spiritica, visto che il 3 agosto il Financial Times, sempre lui, sa­peva già di un governo tecnico a guida Mon­ti. E Monti intervistato dal Tg5 confermava: «Accetterei solo con l'appoggio di tutti. È la stessa cosa che in passato ho già detto a Scal­faro e poi a Berlusconi». A settembre, cioè an­cora più di due mesi prima dell'incarico uffi­ciale, il presidente della Bocconi sedeva ac­canto a Napolitano a Cemobbio e ne approfittava per annunciare il suo programma. «La ri­cetta Monti, un pacchetto di misure con il sì di tutti» spiegava il Corriere, allora preveggen­te e niente affatto scandalizzato.

Mai «golpe» fu più telefonato. Perché nulla nell'entusiasmo dei giornali consigliava di­screzione al presidente della Repubblica. Il cui attivismo nel preparare l'alternativa al go­verno Berlusconi può essere criticato - e su queste pagine fu criticato - ma non può esse­re raccontato come un segreto da rivelare adesso. Tant'è che Napolitano lo rivendica, nella nota di ieri: Monti «appariva allora - e di certo non solo a me - una risorsa da tener pre­sente e, se necessario, acquisire al governo del paese». Di certo non solo a me.

L'esito era scritto. Arrivato finalmente no­vembre, fu giusto Prodi a rompere l'embar­go. «Monti. E l'ora di Monti», annunciò da Re­pubblica. Tre giorni dopo Napolitano nomi­nava senatore a vita, guarda un po', Monti. «Il sequestro della politica», attaccò subito il manifesto. Per i berlusconiani, invece, fu «un bel segnale». Allora.

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