giovedì 12 febbraio 2015

Dei delitti, delle pene e dei media

Diario n. 281


Dei delitti, delle pene e dei media

Una mia amica sostiene, ed sono d’accordo con lei, che è una “vergogna” l’andazzo mediatico di prodursi in indagini sui delitti che più si crede interessino l’opinione pubblica.
Aveva cominciato, ovviamente, Porta a Porta, al tempo della morte del bambino di Cogne, con l’avvocato Taormina gran sacerdote. Forse si ricorderà la trasmissione con il modellino della casa e la ricostruzione interessata del dramma. Ma ora non esistono più limiti.
Le trasmissioni che esercitano la funzione inquirente sono molto numerose: e con la finta dichiarazione che bisogna aspettare il processo (neanche più la presunzione di innocenza), esibiscono prove, fanno parlare testimoni, mostrano perizie, fanno ascoltare intercettazioni (telefoniche e ambientali), sputtanano  persone, insinuano sui comportamenti degli indagati, dei familiari e mettono in piazza ogni elemento che secondo il conduttore può risultare interessante. Non si tratta di “informare” sull'evento, in modo secco e senza illazioni, ma piuttosto di individuare il colpevole.
La “palma d’oro” alla trasmissione che più si esercita in queste operazioni spetta a “Chi l’ha visto”.
Né la carta stampata è da meno, all'andazzo televisivo si accodano, con gli strumenti propri giornali e riviste.
La questione pone prima di tutto un problema (di diritto e deontologico): il materiale mostrato, soprattutto perizie e intercettazioni, nonché risultati di organi scientifici di indagine, non possono che venire dai tribunali, o per meglio dire dagli uffici dei pubblici ministeri, trattandosi molto spesso di processi ancora non celebrati.
È normale che questo avvenga? Il CSM non ha attenzione e sensibilità per questa questione? Si rendono conto i suoi membri che vengono calpestati i diritti dei cittadini?  
È sperabili, data la sua particolare sensibilità, che il nuovo presidente del CSM, il presidente Sergio Mattarella, possa richiamare i giudici al rispetto rigido delle regole.   
Senza dire che le reiterate trasmissioni su questi fatti, spesso alcuni tra i delitti che sembrano colpire maggiormente l’opinione pubblica, vengono ripetute più volte, finiscono per trasformare fatti di sangue, delitti, soprusi e violenze in serial televisivi, depotenziandone la drammaticità.
L’opinione pubblica ha il diritto di essere informata, stampa e televisione hanno il diritto di informare, ma qui siamo molto oltre, siamo alla costruzione per ogni fatto drammatico di una soap opera giudiziaria, buona per la vendita di spot pubblicitari, senza nessun rispetto per le persone coinvolte e per le stesse vittime.
Il refrain del rispetto della privacy ci appare sempre più come una mistificazione: non solo meccanismi di sorveglianza spiano i nostri passi, le nostre telefonate, le nostre mail, i nostri sms, ma se incappi, a torto o a ragione, in una disavventura vieni messo a nudo, e non metaforicamente. Il gossip come elemento dell’informazione, la “verità”, tanto difficile da individuare, spacciata avvolta tra la pubblicità di un auto e quella di un sapone.

Non c’è dubbio si tratta di un contributo al degrado della convivenza civile, al quale bisognerebbe reagire.   

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