giovedì 19 giugno 2014

La sinistra potrà sopravvivere?

Diario 264

  • La sinistra potrà sopravvivere?
  • Tutti d’accordo, tutti contro tutti
  • Le manovre presidenziali                                                                     
  • SEL:  si discute o tramonta?
  • L’imbroglio della garanzia della Cassa Depositi e Prestiti




La sinistra potrà sopravvivere?
Con un articolo di Marc Lazar, il quotidiano La Repubblica (19 giugno) affronta il tema della  sopravvivenza della sinistra europea. I sostanziali magri risultati della “sinistra” nelle recenti elezioni europee (ad eccezione del PD in Italia) sono l’occasione di questa discussione.
La sostanza è: il mondo è cambiato e la sinistra no, in questa situazione potrà questa sinistra sopravvivere?
Il punto di vista sostenuto da Lazar tiene molto l’occhio sulla situazione francese, ma generalizza. In sostanza ecco le motivazioni esplicative (riassunte ma spero non tradite): carenza di organizzazione che combatta la disaffezione dalla democrazia e dalla partecipazione; difficoltà a riconquistare credibilità a fronte della diffidenza verso la classe politica; la scelta degli elettori a cui fare appello in via prioritaria; quali politiche pubbliche adottare a fronte della trasformazione del capitalismo; mancanza di identità del socialismo del XXI secolo; quale sia il leader in grado di affrontare le nuove forme della politica.  
Certo si tratta di questioni non di poco conto, ma forse c’è dell’altro. Alcuni autori, infatti,  in testi  brevissimi, tendono a sottolineare altri aspetti.
Alain Touraine individua nella necessità della difesa dell’individuo (non individualismo), e quindi nella difesa dei diritti umani, la chiave di una possibile ripresa del socialismo. Per Massimo Salvatori la ripresa non può che essere strettamente collegata alla lotta alle diseguaglianze. Marco Revelli fa riferimento ad una identità antiliberista. Guido Craine fa appello alla necessità di attivare due gambe per far camminare l’idea socialista: la prima è ridare fiducia ai cittadini nella democrazia, la seconda è l’equità sociale.
A me pare (non ho nessun titolo se non quella di una lunga militanza), che la questione di fondo sia la “natura” della società. Credo che nella crisi del welfare state e nel conseguente aumento delle  diseguaglianze economiche vada trovata il nocciolo della crisi del socialismo. Il WS è stato considerato intanto come statico, mentre la sua dimensione politica (e sociale) presupponeva un suo dinamismo, una sua continua crescita, inoltre sulla base della crisi fiscale dello stato si è iniziato a limarlo, in alcuni casi a tagliarlo con l’accetta. Si tratta di un fulcro fondamentale della crisi dell’idea socialista (o comunista, non del comunismo reale), proprio perché metteva in discussione una prospettiva sociale e politica, offuscando  la prospettiva di un futuro migliore.
In questa frattura si insinua il capitalismo del XXI secolo che afferma con forza una società delle diseguaglianze e quindi il suo dinamismo non è più fondato sulle lotte sociali ma sull'invidia,  sul rosico e sulla capacità di accaparramento.   
Le diseguaglianze sociali sono il germe di una società ingiusta che non sempre produce rigetto, ma
molto spesso corruzione sia intellettuale che fattuale. Oggi le diseguaglianze sono crescenti  in modo insopportabile (non che ci sia un livello di diseguaglianza sopportabile, ma insomma), e maturano all'interno dell’economia finanziaria.
Se il socialismo non deve morire deve aprire un fronte di conflitto con il capitale finanziario, contro le diseguaglianze e per lo sviluppo del WS e la crescita economica adeguata al tempo (se poi la “nuova politica industriale” fosse quella annunziata in questi giorni dal governo, allora potremmo  dormire sonni pieni di demoni).
Tutto molto facile a dirsi, lo so bene, ma pieno di difficoltà, ma un po’ di strumenti concettuali sono disponibili.   


Tutti d’accordo, tutti contro tutti
Renzi, Berlusconi, Salvini, Grillo, prove di accordo “costituzionale”, ma in realtà dietro l’accordo forse c’è l’avvio di una guerra di posizione.
Berlusconi si sbraccia per il mantenimento dei patti, ma nello stesso tempo lancia il “presidenzialismo”, che di fatto mette in discussione l’impianto della riforma. Che gioco è? Nello stesso tempo il falco Brunetta mette in campo una serie di “divergenze” sulla legge elettorale e sulla riforma del Senato. Una distribuzione di ruoli diversi? O l’estrema confusione in quella parte politica, l’una o l’altra non costituisce una buona garanzia.
Grillo esprime una sua disponibilità a trattare sulle riforme costituzionali. Bene. Mette in campo una riforma elettorale proporzionale (una testa un voto), che ha tutto il mio incondizionato accordo ma si tratta di una proposta che collide totalmente con la riforma già approvata dalla Camera dei deputati. E allora? O Grillo non conosce il testo approvato, o la proposta del M5* è un tentativo di far suonare le campane silenti dopo la batosta delle europee. O molto semplicemente si tratta di un modo per ricollocare il M5* nell’ambito della prassi parlamentare dopo il periodo del No, No, No… non si tratta con nessuno. Gli umori che esprime Grillo (proporzionale a parte) non mi piacciono, hanno un tasso di autoritarismo e una inconcludenza politica insopportabile. Va detto, tuttavia, che il M5* costituisce (o costituiva?) di fatto l’unica opposizione presente in Parlamento e questo è salutare, l’opposizione fa bene alla democrazia e al dibattito politico.
Salvini, che si fa forte di un modesto peso complessivo della Lega, si dimostra d’accordo sulla riforma del Senato e del Titolo V che ridà competenze legislative alle regioni. Che, si fa per dire, si presentano come limpide ed efficiente istituzioni.
Renzi ha fretta, tanta fretta, vuole sedersi alla presidenza del semestre italiano della UE con le riforme in tasca (o quasi): fissa una data di scadenza il 3 luglio. Ma la fretta, quasi mai è una buona consigliera (né lo è la sua Ministra alle riforme che invece costituisce un eco-renziana).
Nodi, i nodi esistenti sono molti, possono essere risolti da un accordo strappato a Berlusconi e al… PD, ma i problemi restano. Sulla legge elettorale il Presidente del consiglio sembra più duttile: ritiene il 40%  dei voti ottenuti alle europee come messi in cassaforte (io sarei più cauto), e quindi sembra disposto ad accettare, appunto al 40% dei voti, la soglia minima per il premio di maggioranza. La soglia di “entrata” è portata al 4%, tanto che importa ragiona il presidente del consiglio. Sembra anche disposto a cedere sulle preferenze o sui collegi minimi.
Sulla riforma del Senato le cose sono più complicate perché le divergenze sono più articolate. Non c’è un’opposizione che voglia ripristinare il bicameralismo, ma non tutti condividono l’assenza di una elezione diretta dei senatori. La elezione di secondo grado pone problemi complessi di equilibrio e di rappresentanza, mentre la nomina di un numero di senatori (5 o 21) da parte del Presidente della Repubblica convince pochissimo. Renzi ha messo a tacere le sue opposizioni interne con la “forza”,non mi sembra la trovata di un grande leader.
La mia impressione è che la fretta farà i gattini ciechi: la riforma andrà in porto, ma risulterà piena di questioni non risolte e lascerà degli strascichi.       
 
Le manovre presidenziali                                                                     
A lato della riforma costituzionale,  ma a quella strettamente intrecciata, sono visibili le manovre per la Presidenza della Repubblica: Napolitano potrà durare ancora un po’ ma non troppo.
Casini fa le sue mosse, tutte tese ad acquisire riconoscenza da parte di Renzi. Basterà? credo di no.
Ma da quando circola l’idea che i tempi sono maturi per una presidenza al femminile, mi sembra che si  possa interpretare l’attivismo “convergente” della senatrice Finocchiaro, come finalizzato anche a questa possibilità. 
Due soluzioni del tutto insoddisfacenti, per ragioni uguali e politiche. C’è di meglio, anche fuori dalle due Camere.

 
SEL:  si discute o tramonta?
Il voto sul decreto fiscale ho diviso i parlamentari di SEL; niente di grave, ma è la crisi di SEL, che preoccupa.
Una crisi, come si dice, che viene da lontano, dall'incapacità di rifondare una prospettiva comunista adeguata al XXI secolo, sfuggendo dalle mode, dall'inseguimento ora di questo ora di quel movimento (ed è ancora il meglio) o di agitare prospettive politichese, senza affrontare le trasformazioni del capitalismo e della società, ma facendosi forte di un “dover essere” che data la sua dimensione appariva più che velleitario. Il relativo successo della lista per le europee poteva essere la buona occasione per rifondare un discorso che affrontasse i nodi strutturali del processo economico sociale della “nuova” società e facesse i conti con i fondamenti teorici.
Entrare nel PD o starne fuori a questo punto è indifferente, almeno così mi pare e soprattutto inutile dal punto di vista politico generale.

L’imbroglio della garanzia della Cassa Depositi e Prestiti

Ricevo dal mio amico Angelo un’analisi su una questione oggi cruciale anche per l’apertura di una procedura di infrazione della UE)

E' possibile stare a sentire politici e grandi giornalisti accreditati, presso tutti, come esperti, discettare su problemi non da poco senza che nessuno di loro accenni alla sostanza delle cose.
 Questa mattina, nella trasmissione della "la 7"(19giugno), Alan Friedman lamentava il ritardo nei pagamenti dei debiti dello Stato verso i propri fornitori, debiti per i quali il Governo ha già deliberato che sia "la Cassa Depositi e Prestiti" a fare da garante alle banche, affinché queste anticipino ai fornitori quanto dovuto dallo Stato.
 Ma il capitale della CDP è di 3,5 miliardi più utili di 2,3 miliardi, mentre i debiti dello stato ammontano (dicono, ma nessuno ne è sicurissimo) a 75 miliardi. Volete sapere a quanto ammonta la "cassa e disponibilità liquide" della CDP? traendo il dato così come è scritto nel suo bilancio (31.12.2013), risulta di 3.530 euro (lo ripeto in lettere a scanso di equivoci; "tremilacinquecento euro"). Meno di quanto, forse, l'ultimo impiegato della CDP tiene in casa per le spese correnti.
 Mi si obietterà che la liquidità reale è sui conti che la CDP ha nelle banche. Ma se avesse conti a credito il saldo a credito del conto bancario sarebbe tra le liquidità. Ma alla voce banche c’è un attivo di 14 miliardi 851 milioni di euro, e un  passivo di 24 miliardi 8 milioni.
 La CDP gestisce tra l'altro, in quanto titolare,  i risparmi che gli italiani hanno depositato presso le poste, quindi di chi sono i soldi su cui si rivarranno le banche in caso di mancato pagamento alla scadenza del credito finanziato ai fornitori dello Stato? Avete indovinato.
 Ma che bisogno c'è, se il debitore è lo Stato, che questo venga garantito dai soldi dei cittadini italiani? E gli impiegati, quando vi invitano a fare buoni del tesoro o libretti postali, non vi dicono che sono depositi sicuri in quanto garantiti dallo Stato?
 Vediamo, allora, come funziona e soprattutto quale ne è la logica: i cittadini hanno i propri depositi garantiti dallo Stato ma i loro depositi garantiscono i debiti dello Stato.  Sembra qualcosa di molto confuso ma a ben guardare non lo è affatto. Il gioco è questo: io Stato non pago i debiti verso i fornitori perché non ho soldi allora, in base alla garanzia prestata,  li paga la CDP con i soldi dei cittadini. A questo punto lo Stato dovrebbe, in base alla garanzia fornita ai depositi postali dallo Stato, restituire ai cittadini quanto utilizzato per pagare le banche. Ma se lo Stato non ha i soldi che succede? Ecco: i fornitori sono stati pagati dalle banche, le banche sono state pagate dai cittadini e i cittadini sono restati con i depositi garantiti dallo Stato, che già li garantiva, ma che non ha un euro.
 Ma attenzione. Vi diranno tutti che sia di fondamentale importanza che i fornitori dello stato vengano pagati perché così si riavvia la "crescita" senza la quale siamo perduti. Ma allora, perché la CDP non finanzi direttamente i fornitori dello Stato senza passare attraverso le banche così, almeno, gli interessi che, senza rischi, guadagneranno le banche li guadagnerebbe la CDP?


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