domenica 20 settembre 2020

Rossana Rossanda, un'amica che non c'è più

 


Diario 20/settembre/2020

 

È morta Rossana Rossanda, un’amica molto cara. Un diario triste.

Mi ricordo che una volta rideva dicendo che era diventata un’esperta in necrologi, questo non vuole essere un necrologio, ma il ricordo di un’amica.

Non voglio parlare di Rossanda come politica, di questo i giornali domani saranno pieni scrivendo elogi più o meno veritieri, il suo lascito infatti va iscritto alla cifra della coerenza e insieme del pensiero critico, materia difficile da maneggiare. Voglio ricordare il nostro rapporto di amicizia, certo, legato alla politica, ma da questa autonomo.

Quando giunsi a Milano, nella seconda metà degli anni ’50, per lavorare al Centro di studi economici diretto da Silvio Leonardi, dal nuovo amico Massimo Pinchera, che lavorava anche lui al Centro, sentivo parlare con ammirazione critica, Massimo era così, della Rossanda. Qualche hanno dopo Lelio Basso con cui mi ero politicamente legato, mi invitò ad andare con lui  alla Casa della Cultura di Milano per conoscere Rossana Rossanda.  Un incontro freddo, io molto intimidito e la sua identificazione con il suo ruolo, ci lasciarono come estranei. Dopo di allora sono passati diversi anni senza alcun contatto.

Quando con il gruppo di compagni che avevamo lasciato il Pisiup, decidemmo di entrare nel Il Manifesto, Rossana ed io ci rincontrammo e ci legammo. Luciana Castellina, nella veste di Commissario politico, fu inviata a Milano per capire cosa volevano questi psiuppini, eravamo alla vigilia di una elezione politica, e appurato che non chiedevamo neanche posti il lista, dopo una lunga discussione, seduti per alcuni ore di fronte a casa mia, fu sancita la legittimità politica della nostra richiesta.

Iniziai regolarmente a frequentare le riunioni del Il Manifesto, dove il tasso di approfondimento politico era molto alto, e dove non mancavano fratture e divergenze (ma questa è la politica). Rossana Rossanda, Valentino Parlato, Michelangelo Notarianni ed io, all’interno del Il Manifesto costituivamo un gruppo coeso e battagliero (certo ciascuno con le proprie indole), un gruppo formato da un legame di amicizia e di affetto, non solo politico, anche se ci accusavano di essere “la banda dei quattro” (memoria cinese).

Quando ero a Roma mi capitava di frequentare la sua casa e i suoi gatti, conobbi Karol,  si discuteva, si fumava, qualche volta si mangiava insieme. Mi ricordo di un episodio critico (ma anche buffo), ma non sono sicuro che si sia svolto a Roma o a Parigi, dove con Flavia andavamo a trovare Rossana e Karol Comunque invitati a cena e mangiato uno squisito branzino, fui, dalla Rossanda,  rimproverato per non aver fatto l’elogio della cena, rivendicò di essere andata al mercato a cercare un buon pesce, di averlo con cura cucinato, ed era offesa della mia indifferenza. Risposi che mi sembrava ridicolo che dopo tutto quello che rappresentava volesse essere anche elogiata come cuoca, mi rispose “ebbene, si!”.  Questa era la mia amica.

Karol e Rossana venivano spesso a Venezia, era una città che Rossana amava molto, Flavia ed io eravamo contenti di curarli, portarli in giro, preparare dei pranzetti. Questa loro presenza a Venezia era un festa per loro e per noi. Voglio dire che non solo la politica ci univa, ma anche una frequentazione amicale, la frequenza di mostre, la discussione sui libri, ecc., insomma amici.

Il suo trasferimento a Parigi e il mio impegno accademico ha, come è ovvio, sfilacciato il nostro rapporto, ma posso dire che i fili di questo sfilacciato tessuto di affetto, amicizia e considerazione, sono rimasti molto forti. Qualche volta mi scriveva qualche breve nota, era sempre molto curiosa, ci telefonavamo, mi chiedeva sempre di Flavia che apprezzava molto (e mi diceva non capiva).

Qualche mese fa sono andato a trovarla a Roma, ma non sono stato felice, l’ho trovata stanca ma lucida e presente mi chiedeva dei compagni di Venezia, e si leggeva nel suo sguardo il dolore per quanto si era perso.

Ciao Rossana un abbraccio e un bacio che forse non ci siamo mai dati.

          

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