venerdì 7 marzo 2014

Renzi, l’angoscia (sic!) per il futuro

Diario 251 

Renzi, l’angoscia (sic!) per il futuro



Preoccupa molto due cognizioni che accompagnano l’ascesa di Renzi al governo del paese.

Da una parte si ripete, da molti osservatori, non necessariamente compiutamente renziani, che il più giovane presidente del consiglio della storia della Repubblica Italiana rappresenta l’ultima spiaggia
Dopo di lui non ci si può aspettare che il diluvio, questo è il significato dell’affermazione. 

Certo tre presidenti del consiglio che, per ragioni, motivazioni e metodi diversi, falliscono nell’arco di due anni sono troppi anche per il nostro paese. Ma appellarsi all’ultima spiaggia ha due significati diversi. È un “avviso ai naviganti”: non ostacolare il governo, bisogna appoggiare il governo, non illudersi che qualcosa di meglio sia possibile. Se Renzi fallisse ci toccherebbe in sorte una tempesta (economica-sociale) di proporzioni mai vista. Ma se questa tempesta scoppiasse, si dice, si sotto intende, o si fa capire, non resterebbe che l’attesa di un uomo forte al timone in grado di far navigare il paese nella tempesta e dalla tempesta portarla fuori. Un uomo solo al comando come indicatore di sicurezza, ma per questo bisognerà pagare pegno. 

Dall’altra parte, una differente cognizione accompagna Renzi nel suo cammino, quella che possiamo definire come la fede nella sua riuscita. Il suo vitalismo, la sua giovinezza, la sua ambizione, la sua forza di volontà, la sua capacità di manovra, la sua autostima, la sua capacità di lavoro, l’assunzione della sua centralità, ecc. (mischiando quelli che in un linguaggio vecchio si potrebbero dire vizi e virtù) paiono e vengono interpretati come una garanzia di successo. 

La sua dichiarazione dell’assunzione piena, in prima persona, della responsabilità di governo (ci metto la faccia, ripete, ed ancora se il governo fallisse sarebbe mio il fallimento, ecc. farsi ad effetto di cui è estremamente capace). Il disegno di un ruolo centrale che l’uomo giovane e volitivo vuole assumere; non si tratta, come potrebbe sembrare, una sorta di salvaguardia per i suoi collaboratori, ma l’assoluto disprezzo per loro. Nella scelta dei ministri e soprattutto dei sottosegretari, non ha avuto difficoltà a piegarsi al manuale cencelli, mostrando un opportunismo impensabile e una piena accettazione della “melma” di Roma, perché questa facile conversione? Non credo che ci sia opportunismo né accettazione della romanità della politica, ma, piuttosto, pare che questi fatti possono essere ascritti al fatto che non gli importa nulla, disprezza ministri e sottosegretari, perché è la sua centralità, autonomia e autorità (alias autoritarismo) che determinerà la marcia del governo (i ministri e i sottosegretari sono sotto tutela della presidenza del consiglio e del presidente in prima persona. In sostanza re Renzi si muove su una scacchiera dove sono state eliminati alfieri, cavalli, torri e regina, sono rimasti solo pedoni, che insieme agli altri pezzi sono importanti ma da sole valgono un soldo bucato, niente. I ministri e i sottosegretari, scelti con il manuale cencelli hanno solo uno scopo quello di garantire i voti in parlamento (di questi non può fare a meno).

In sostanza le due cognizione non solo influenzano l’idea che Renzi ha di se stesso, ma sono interne alla sua stessa costruzione psicologica della sua avventura governativa. Renzi è angosciato di non riuscire (i continui appelli alla sua faccia, a se stesso come motore, ecc. ne sono l’espletazione di questa angoscia), ma, ovviamente, non crede a questa possibilità ed è convinto che per scongiurare la catastrofe bisogna che punti su se stesso. La necessità di riuscire e la paura di fallire alimentano la sua angoscia che costituisce anche la sua molla.

Con un forte semplificazione, di cui mi scuso, si potrebbe dire che e lui l’uomo forte al timone, e di questo forse è convinto (non sto dicendo che è un fascista). Ma se così fosse, allora, l’angoscia diventa la nostra.


I rimproveri di Bruxelles. In che cosa consiste la competitività? 

Il Commissario europeo Olli Rehn ci rimprovera e ci mette sotto osservazione. Gli indicatori che preoccupano la Commissione europea sono sostanzialmente due: il debito troppo alto, la competitività troppo bassa, che insieme determinano una bassa crescita economica. Si può capire l’apprensione della Commissione per l’alto debito: la preoccupazione è quella che non riusciremo a pagare il debito (la catena di Santo Antonia, pagare il debito con nuovo debito, potrebbe saltare) con gravissime perdite per la finanza internazionale (quella che sta veramente a cuore di Bruxelles). Non c’è dubbio che il debito non riusciremo a saldarlo, nonostante le affermazioni dei diversi ministri del tesoro. La Commissione chiede che sia innalzato il “saldo primario” del bilancio pubblico (= introiti meno spese) da qui il suggerimento delle riforme da fare sempre le stesse che hanno il segno di tosare la popolazione. 

Quello che appare evidente è che la Commissione non si occupa dell’Europa, ma ha assunto il ruolo di custode delle virtù dei singoli paesi. È questa l’impressione che si ricava dalla continua sottolineatura della bassa competitività del nostro paese. Ne discutevo con il mio amico Angelo al telefono: il commissario non dovrebbe essere felice della delocalizzazione delle imprese italiane in altri paesi della comunità a più basso sviluppo? Questo spostamento di impresa non ha come risultato l’aumento della competitività di questi paesi e, quindi, della zona europea. 

Ma se non soddisfatta di tale incremento totale della competitività e la vorrebbe in crescita nel nostro paese per aumentare la possibilità di pagare almeno una parte dei debiti, competitività dove? Il come ce lo ripetono: le riforme, il mercato del lavoro sempre più flessibile, una riduzione del nostro welfare, ecc. Ma dove aumentare la nostra competitività? Nella moda? Ma non è più nazionale. Forse nel vino? Ma ci sono vincoli di fertilità. Non restano che i settori tradizionali. Possiamo essere sicuri che i paesi “forti” della comunità soffrono molto per il sostanziale abbassamento della competitività Fiat? Se la Fiat fosse talmente competitiva da mettere in discussione il potere di mercato che so della Renault, o della Volkswagen, o della Audi, ecc. o di tutti insieme (come sarebbe stato possibile con una direzione intelligente e creativa) allora sarebbero contenti a Bruxelles dell’innalzamento della nostra competitività? Possono sorridere, lo so, non corrono nessun pericolo.

Nuovo ministro ma vecchia politica 

Il neo ministro Maria Elena Boschi, una delle poche persone apparentemente competenti e anche capaci, è stata costretta dal suo “capo” a fare la sua prima magra figura alla Camera, quando ha dichiarato, di fatto, che quello che valeva per il sottosegretario del NCD non valeva per i quattro sottosegretari del PD. 

Non è bello, né intelligente, né politicamente pagante, né equilibrato, né trasparente, né la “rottamazione” ci fa una bella figura. Va bene che Renzi disprezzi tutti i suoi ministri e, soprattutto, sottosegretari, ma alla Boschi sembrava tenerci, ma allora perché sottoporla a quella figura che ne ha fortemente diminuita l’autorevolezza? Non gli importa neanche di lei? 



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